Aliunde perceptum e licenziamento illegittimo, di cosa si tratta

28 Feb , 2019 Indagini Aziendali

Aliunde perceptum e licenziamento illegittimo, di cosa si tratta

Nel mondo del lavoro, i casi di licenziamento illegittimo sono molto diffusi. Quando viene interrotto il rapporto tra datore di lavoro e dipendente in maniera tale da configurare un licenziamento non fondato su di una giusta causa o un motivo oggettivo valido, scatta – da parte del lavoratore – una richiesta di risarcimento danni (che gli spetta a norma di legge). L’azienda che ha implementato il licenziamento può cercare di ridurre l’ammontare dell’indennizzo dovuto provando l’esistenza dell’Aliunde perceptum.

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Aliunde perceptum, cos’è?

Aliunde perceptum’ è una locuzione latina che, alla lettera, significa ‘percepito altrove’. Nell’ambito del diritto del lavoro, essa indica i compensi che un lavoratore ha ricevuto da parte di un soggetto terzo dopo essere stato licenziato. In altre parole, dopo la rescissione del contratto, il dipendente licenziato ingiustamente, ha svolto una nuova attività lavorativa presso un altro soggetto, maturando un reddito ancor prima di ricevere un indennizzo a titolo di risarcimento danni da parte della società o dell’azienda presso cui era impiegato in precedenza.

È chiaro, quindi, che l’aliunde perceptum venga chiamato in causa quando si concretizza un licenziamento illegittimo. A tal proposito, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che, qualora il giudice dichiari nulla la rescissione di un contratto di lavoro, il datore o l’imprenditore è obbligato alla “reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati”. In aggiunta, al lavoratore licenziato spetta un risarcimento “del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento”.

Altra circostanza che può determinare una riduzione del risarcimento è l’aliunde percipiendum. Si tratta di una casistica diametralmente opposta all’aliunde perceptum in quanto si verifica nel momento in cui il lavoratore, pur licenziato ingiustamente, non si sia attivato in maniera sufficiente per ottenere un nuovo impiego. Secondo quanto stabilito dal secondo comma dell’articolo 1227 del Codice Civile, “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

Per quanto concerne la riduzione del risarcimento danni in misura di aliunde perceptum vel percipiendum, val bene citare la sentenza n. 512 emessa l’11 gennaio 2018 dalla Corte di Cassazione. I giudici avevano condannato una società a risarcire un proprio ex dipendente; questi era stato licenziato nel 2008 e si era visto riconosciuto il diritto ad un ulteriore indennizzo per via di una “inabilità temporanea conseguita a due infortuni sul lavoro”. Il giudice d’appello ha inoltre stabilito che la somma poteva essere ridotta per aliunde perceptum, dal momento che il lavoratore, già a partire dal 2009, aveva attivato la reperibilità per un’altra occupazione; questo frangente, secondo la Corte, gli aveva consentito di limitare parzialmente il danno causato dal licenziamento non legittimo.

Aliunde perceptum e licenziamento illegittimo

Nei procedimenti che riguardano un licenziamento illegittimo, il datore di lavoro può – nel proprio interesse – dimostrare come l’ex dipendente abbia ‘limitato’ il danno grazie ad un nuovo impiego oppure non abbia fatto abbastanza a tale scopo. Ciò che è importante sottolineare è che la prova di aliunde perceptum è un onere a carico del datore di lavoro, ossia spetta alla società o all’azienda che ha operato il licenziamento dimostrare che l’ex dipendente abbia maturato reddito nel periodo seguente la data dell’interruzione del rapporto di lavoro (oppure che non abbia fatto ciò che era necessario o sufficiente per ottenere una nuova occupazione).

La sentenza della Cassazione sopra citata, infatti, stabiliva anche “il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, della prova dell’aliunde perceptum o dell’aliunde percipiendum” mentre va escluso che sia il prestatore di lavoro a doversi far carico di dimostrare una qualsiasi circostanza che gli abbia consentito di ridurre il danno subito per via del licenziamento.

Di contro, i giudici della Cassazione hanno affermato come il lavoratore sia chiamato a limitare tale danno “attraverso un’agevole attività personale, o mediante un sacrificio economico relativamente lieve” e non certo tramite attività che risultino particolarmente gravose o che lo espongano a rischi eccezionali. In altre parole, l’aliunde percipiendum si concretizza nel momento in cui il creditore viene meno all’obbligo di cooperazione per evitare l’aggravarsi del danno.

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Come si rileva l’Aliunde perceptum

Come già accennato, è compito del datore di lavoro produrre le prove che testimonino il sussistere dell’aliunde perceptum o percipiendum. In entrambi i casi, è possibile rivolgersi ad agenzie di investigazione private che possano svolgere indagini di controllo a carico degli ex dipendenti che abbiano ottenuto l’annullamento del licenziamento e, di conseguenza, abbiano inoltrato una richiesta di risarcimento dei danni.

Le indagini vengono richieste dal mandante (il titolare o un legale rappresentante dell’azienda o della società chiamata a farsi carico dell’indennizzo) e si sviluppano in maniera diversa in base alle casistiche specifiche. I casi di aliunde perceptum, infatti, sono più semplici da dimostrare: gli investigatori possono orientare le proprie attività di indagine alla ricerca di riscontri oggettivi, ossia prove di reddito maturato dopo la data del licenziamento oppure documenti ufficiali che attestino come il dipendente occupi una posizione lavorativa ottenuta a seguito dell’interruzione del precedente rapporto di lavoro.

Questo genere di verifiche, che rientra nell’ambito delle indagini sui dipendenti, è in grado di produrre un prospetto riassuntivo di tutte le fonti di reddito che il soggetto delle indagini ha avuto nel lasso di tempo seguente il licenziamento. In alternativa, gli investigatori possono accertare lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa, anche non regolarizzata, che abbia portato introiti al dipendente licenziato. La raccolta di prove a dimostrazione di queste eventualità passa attraverso tecniche quali l’appostamento e il pedinamento, così da monitorare le attività giornaliere della persona oggetto delle investigazioni. In aggiunta, l’agenzia investigativa può acquisire prove documentali.

Per quanto concerne l’aliunde percipiendum, esso è per sua stessa natura meno semplice da definire e quindi da provare. Non esiste un parametro oggettivo per stabilire fino a che punto un dipendente licenziato non si sia attivato a sufficienza per rientrare – entro un termine ragionevole dalla data di licenziamento – nel mondo del lavoro. Gli stessi riferimenti normativi e la relativa giurisprudenza si fondano su principi di ‘ragionevolezza’ che consentono un buon grado di flessibilità interpretativa, anche in relazione ai singoli casi. Ad ogni modo, resta l’onere della dimostrazione a carico del datore di lavoro che voglia ottenere una riduzione dell’ammontare del risarcimento; gli investigatori incaricati possono attestare lo scarso impegno profuso da parte del dipendente licenziato registrandone le attività giornaliere e provando l’assenza (o la poca consistenza) di tentativi concreti di ottenere una nuova occupazione.


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