Appropriazione indebita in azienda, come indagare
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Il successo di un’azienda dipende dalle attività che svolge e dai risultati che ottiene all’interno del proprio ambito di competenza. Entrambi i fattori sono relati al lavoro dei membri dell’organico aziendale, ossia i dirigenti e i dipendenti, che, in tal senso, ricoprono un ruolo di primo piano. Naturalmente, è importante che l’atteggiamento della compagine dei lavoratori sia improntato alla correttezza ed al rispetto degli obblighi previsti anche dalle leggi in vigore. Purtroppo, non sempre è così: spesso i dipendenti si rendono protagonisti di azioni lesive nei confronti dell’azienda presso la quale sono impiegati; tra queste vi anche l’appropriazione indebita.
Cos’è l’appropriazione indebita
In termini generali, si parla di appropriazione indebita nel caso in cui un soggetto fa proprio un bene o una somma di denaro di cui aveva solo il possesso. Per quanto, dal punto di vista pratico, non sembrino esserci particolari differenze con il furto, si tratta in realtà di due casi ben distinti.
Affinché si configuri una situazione di appropriazione indebita è necessario che il soggetto abbia già il possesso del bene o, in altre parole, ne abbia la detenzione. Va tenuto conto come né il possesso né la detenzione siano sinonimi di proprietà; per tanto, l’appropriazione indebita si verifica nel momento in cui il possessore o il detentore utilizza il bene posseduto o detenuto come fosse di sua proprietà per ottenere un profitto, ossia ne fa un uso illecito. Il furto, invece, si configura per chiunque “s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”.
Esiste, inoltre, la cosiddetta ‘appropriazione indebita aggravata’, che si verifica in presenza di determinate circostanze. In genere, l’aggravante risiede nella tipologia di detenzione del bene.
Cosa dice la legge
Il reato di appropriazione indebita è previsto dall’articolo 646del Codice Penale. In particolare, il dispositivo stabilisce che “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila”. La pena è maggiore se l’appropriazione riguarda beni posseduto a titolo di deposito necessario, ossia dovuto a cause imprevedibili e non ad un atto di volontà. Per quanto riguarda il ‘profitto’, la giurisprudenza prevalente ritiene che debba essere considerato esclusivamente di tipo patrimoniale.
Le pene previste per questo reato sono state inasprite dal ddl anticorruzione del 2018; il termine di prescrizione per l’appropriazione indebita è di sei anni, stando alle disposizioni dell’articolo 157 del Codice Penale: “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”. Nel calcolare il termine di prescrizione non si tiene conto né delle circostanze attenuanti né di quelle aggravanti, a meno che queste ultime non determinino una pena diversa.
In materia di appropriazione indebita vanno tenuti in conto, oltre ai riferimenti normativi, anche i numerosi casi di giurisprudenza. La sentenza n. 37300 emessa nel 2019 dalla Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento secondo il quale “il delitto di appropriazione indebita sia reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, quando l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria”. Leggermente differente la pronuncia della Cassazione nella sentenza n. 24471 che “considera sussistente il reato di appropriazione indebita, anche nell’ipotesi di uso indebito della cosa, qualora ricorrano determinate circostanze. Quello che conta è che l’uso indebito del bene, sia avvenuto trascendendo completamente – come nel caso di specie – i limiti del titolo in virtù del quale l’agente deteneva in custodia il bene”.
La Cassazione ha altresì individuato casi di specie classificabili come appropriazione indebita aggravata: ne è un esempio la banca che si rifiuta di trasferire i titoli di un proprio correntista presso un altro istituto bancario (sentenza della Sezione Unica del Tribunale di Rimini del 3 marzo 2016). L’aggravante, in tale circostanza, è costituita dal fatto che i titoli erano detenuti dall’istituto a titolo di deposito, una delle fattispecie che determinano una pena più severa. La sentenza n. 39881 del 2015 emessa dalla Corte di Cassazione ha individuato un altro caso di appropriazione indebita aggravata, ovvero quello del commercialista che non restituisce per tempo i libri contabili e non presenta in tempo il modello unico dell’IVA.
Conseguenze
Le conseguenze dell’appropriazione indebita sono quelle previste dal Codice Penale. Alla sanzione pecuniaria (da mille a tremila euro) può sommarsi la pena detentiva per un periodo compreso tra i due e i cinque anni. Prima dell’entrata in vigore del ddl anticorruzione del 2018, la multa massima era di 1.032 euro mentre il periodo di reclusione era fino a tre anni.
Il reato di appropriazione indebita non può essere più processato d’ufficio dall’entrata in vigore del decreto legislativo numero 36/2018; quest’ultimo, infatti, dispone la procedibilità solo in presenzadi querela da parte della persona offesa.
Indagare sull’appropriazione indebita di un dipendente
Al fine di tutelare i propri interessi e quelli dell’azienda, qualora vi siano elementi che facciano sospettare uno o più casi di appropriazione indebita, il titolare (in prima persona o per mezzo di un legale rappresentante) può dare mandato ad un’agenzia di investigazioni privata di svolgere delle indagini di controllo a carico dei dipendenti.
La prima fase investigativa coincide con la raccolta delle informazioni relative alle persone da sottoporre ad indagine: dati anagrafici, posizione all’interno dell’azienda, orari di lavoro, mansioni e tutto quanto concorra a delineare un profilo chiaro e ben definito. Successivamente, gli agenti procedono a tracciare i movimenti dei soggetti indagati per mezzo di supervisione attiva e passiva (ossia pedinamento e appostamento), grazie alla quale possono raccogliere materiale fotografico ed audiovisivo con valore di prova materiale. Le verifiche volte a scoprire atti di appropriazione indebita possono includere anche controlli che possano portare alla luce fonti alternative o anomale di introito a favore del dipendente o del dirigente indagato.
I riscontri ottenuti dagli agenti durante le indagini vengono utilizzati per la stesura di una relazionefinale, di carattere riassuntivo, che il mandante delle indagini può sfruttare per la querela necessaria alla procedibilità dell’appropriazione indebita. Va ricordato come, da un lato, i reati di sottrazione illegittima di bene non siano punibili se riguarda una quantità irrisoria di un dato bene; dall’altro, il querelante deve farsi carico del cosiddetto ‘onere della prova’, ossia produrre materiale che dimostri la legittimità della propria azione di accusa.