Assenteismo e danno di immagine, quando le assenze creano danno alle aziende
La reputazione è uno degli aspetti caratteristici di un’azienda o di una società. Essa dipende da una serie di fattori esterni ed interni, che vanno dalla presenza sul mercato all’esposizione mediatica, passando per la “tradizione” aziendale. Anche l’atteggiamento dei dipendenti concorre a formare un’immagine positiva dell’azienda, consolidandone la reputazione; di contro, una condotta poco professionale degli stessi può risultare lesiva.
Cos’è l’assenteismo
In generale, si parla di assenteismo quando un dipendente non si reca sul luogo di lavoro pur non avendo un motivo valido; in altre parole, il dipendente manca di fornire la prestazione lavorativa adducendo una motivazione fittizia o simulando un impedimento di sorta che in realtà non sussiste. Si tratta, purtroppo, di una condotta piuttosto diffusa, tanti nel settore pubblico quanto in ambito privato.
Le dinamiche di un atteggiamento assenteista si sviluppano secondo gli stessi principi: come spiega anche Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations -il lavoratore, per motivi personali, decide scientemente di non andare a lavoro e utilizza una serie di espedienti per dissimulare l’assenza di un reale impedimento o di un valido motivo per assentarsi.
Gli espedienti più comuni utilizzati dal dipendente assenteista sono i certificati medici falsi e l’abuso dei permessi retribuiti (sia quelli sindacali che quelli previsti dalla Legge 104). Nel primo caso, con l’aiuto di un medico connivente, il dipendente è in grado di presentare un’attestazione medica che simula un infortunio o uno stato di malattia che in realtà non esistono; nel secondo caso, invece, i permessi vengono utilizzati per finalità diverse da quelle per le quali è prevista la loro erogazione.
Le cause di un atteggiamento assenteista possono essere diverse e spaziano dalla semplice mancanza di stimoli a finalità più specifiche, come ad esempio lo svolgimento di una seconda attività lavorativa non autorizzata oppure il prolungamento di un periodo di riposo (in tal caso si può parlare di assenteismo “tattico” in quanto le ore o i giorni di assenza si collocano in momenti strategici, come ad esempio subito prima o dopo il fine settimana o in corrispondenza dei turni più gravosi).
Va infine sottolineato come l’assenteismo (comprovato) espone il dipendente a sanzioni di varia natura, che spaziano dal provvedimento disciplinare – basato sulle disposizioni del regolamento interno – alla rescissione del contratto da parte del datore di lavoro. Il licenziamento rappresenta la misura più severa ma al contempo giustificata dalla constatazione che la condotta del dipendente abbia compromesso in maniera significativa il necessario rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
Quando l’assenteismo può creare danni
L’assenteismo può arrecare danni di vario genere all’azienda. Il primo è di natura organizzativa ed economica: l’assenza di un dipendente, specie se comunicata con scarso preavviso, rischia di compromettere l’organizzazione interna dell’attività giornaliera e di conseguenza la capacità produttiva durante il turno o i giorni in cui il dipendente non è presente sul luogo di lavoro.
Esiste però un altro tipo di danno, ed è quello di immagine. In particolare, si parla di assenteismo fraudolento e danno d’immagine per quanto concerne il settore del pubblico impiego. Il riferimento normativo, in tal caso, è recente e piuttosto specifico ed è rappresentato dal Testo Unico sul Pubblico Impiego del 2019.
Il Testo dispone che il lavoratore assenteista (ovvero il dipendente “che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia”), al netto della responsabilità penale e delle sanzioni disciplinari previste “è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno d’immagine”.
In tal caso, la Procura della Corte dei Conti, qualora vi siano i presupposti, emette un invito a dedurre per i danni di immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento.
Per quanto riguarda il settore privato, il danno d’immagine difficilmente può essere connesso direttamente all’assenteismo.Un dipendente assenteista può, ad esempio, danneggiare l’immagine dell’azienda presso la quale è impiegato se, durante l’assenza dal luogo di lavoro, diffonde notizie ed informazioni lesive per la reputazione della stessa per trarne vantaggio in prima persona: in tal caso, però, è più corretto parlare di un atto di concorrenza sleale(secondo quanto disposto dall’articolo 2598 del Codice civile), mentre il danno di immagine risulta una possibile conseguenza collaterale.
Come indagare sull’assenteismo
Nel caso in cui il titolare di un’azienda sospetta che uno o più dipendenti si rendano protagonisti di un atteggiamento assenteista può tutelarsi e commissionare delle indagini di controllo ad un’agenzia di investigazioni privata. Il mandato può essere conferito in prima persona oppure per mezzo di un legale rappresentante.
Una volta accettato l’incarico, gli agenti procedono all’avvio dell’iter investigativo secondo una specifica procedura. Il primo step è quello di acquisire tutte le informazioni e i dati più significativi relativi al dipendente da sottoporre ad indagine: vengono quindi rilevati gli estremi anagrafici, il curriculum ed il contratto di impiego, così da poter ricostruire un profilo investigativo di natura personale e professionale. Questa fase è utile anche a delineare il ruolo del lavoratore all’interno dell’organico aziendale, individuandone turni, mansioni e oneri.
La seconda fase delle indagini è quella della supervisione, che può essere attiva o passiva. Nel primo caso si parla di pedinamento, nel secondo di appostamento. Lo scopo di questa procedura è quello di acquisire materiale fotografico e video, in modo tale da avere a disposizione riscontri oggettivi utili a ricostruire in maniera inconfutabile la condotta del soggetto indagato. Nello specifico, la supervisione investigativa consente di collocare in un determinato contesto (delimitato da precise coordinate di tempo e luogo) il dipendente indagato e, al contempo, accertare se l’assenza dal luogo di lavoro è giustificata o meno. Nel caso di una falsa attestazione medica, ad esempio, le immagini prodotte durante l’appostamento o il pedinamento possono dimostrare che l’infortunio o la malattia dichiarati non sono reali, in quanto il comportamento del dipendente non risulta congruente con quanto attestato dalla certificazione presentata al datore di lavoro.
Il percorso investigativo si conclude con la redazione, da parte degli agenti, di una relazione finale all’interno della quale vengono descritti il lavoro svolto ed i risultati ottenuti. Il documento viene consegnato al mandante delle indagini che potrà utilizzarlo in un eventuale procedimento giudiziario se, ad esempio, il dipendente assenteista è stato licenziato ed ha presentato ricorso avverso al provvedimento. La relazione investigativa consente al datore di lavoro che ha rescisso il contratto con il dipendente di ottemperare al cosiddetto “onere della prova”, ossia di produrre materiale probatorio a supporto della decisione di licenziare il lavoratore assenteista.