Telecamere spia, come fare un bonifica ambientale
Lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni ha reso sempre più complicata la tutela della privacy. Dispositivi di ogni genere, sempre più compatti e sofisticati, consentono di registrare materiale audio e video all’insaputa degli astanti o di sorvegliare un locale, un ambiente chiuso o un ufficio. Il rischio è quello di vedere diffuse notizie riservate ed informazioni sensibili che, di norma, dovrebbero rimanere private anziché divenire di pubblico dominio.
Cosa sono le telecamere spia
Le telecamere spia sono dispositivi per la registrazione e la memorizzazione di materiale audiovisivo. Vengono così definite in quanto si caratterizzano per le dimensioni estremamente ridotte che consente di posizionarle anche all’interno di oggetti d’arredamento, così da spiare ciò che accade all’interno di stanze, locali e uffici. In commercio ne esistono di diversi tipi.
I fattori che caratterizzano una telecamera spia sono diversi: forma, dimensioni, autonomia e qualità della registrazione. Per quanto riguarda la forma, si tratta in genere di dispositivi quadrati o rettangolari, grandi pochi centimetri (2 cm o poco più, in genere). L’autonomia dipende invece dalla fonte di alimentazione: essa può essere esterna o interna; nel primo caso, la microcamera potrà avere una durata maggiore, senza porre quindi particolari problemi di autonomia. Le telecamere spia con alimentazione interna, invece, possono funzionare solo per un determinato limite di ore, trascorso il quale la fonte di energia che fa funzionare il dispositivo deve essere sostituita.
L’aspetto forse più significativo relativo alle microcamere spia è quello relativo al tipo ed alla qualità della registrazione; i dispositivi più sofisticati – ma anche più ingombranti – sono dotati di obiettivo rotante, infrarossi automatici per la visione notturna e sistema di registrazione full HD. Naturalmente, le telecamere spia sono dotate di memoria per immagazzinare diverse ore di materiale e consentono di scegliere tra due modalità di registrazione: automatica (ossia quando viene rilevato un oggetto in movimento) o continua. I dispositivi più compatti possono essere anche controllati – tramite wi-fi – per mezzo di un telefono cellulare e, in alcuni casi, permettono la trasmissione diretta del materiale registrato.
Cosa rischia chi mette telecamere spia
Le telecamere spia pongono spesso e volentieri il problema della privacy. Installare una telecamera in casa o sul luogo di lavoro non è vietato ma solo a determinate condizioni; in aggiunta, l’utilizzo delle immagini registrare può risultare spesso controverso.
In ambito lavorativo, ad esempio, il comma 1 dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali”. In sintesi, sul luogo di lavoro le telecamere devono essere ben visibili, segnalate da appositi cartelli, installate solo dopo aver ottenuto la relativa autorizzazione. Le informazioni raccolte, dispone il medesimo articolo, “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196” (il cosiddetto ‘Codice della Privacy’).
Sanzioni specifiche per una casistica simile sono previste dal Codice Penale. L’articolo 615 bis (Interferenze illecite nella vita privata) dispone la reclusione da sei mesi a quattro anni per “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata” che si svolge nei luoghi di domicilio (secondo le disposizioni dell’articolo 614 c.p.). La stessa pena è prevista anche per chi “rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico” le immagini e le informazioni ottenute illecitamente. In entrambi i casi il delitto è punibile sia in presenza di querela da parte della persona offesa sia tramite procedura d’ufficio. La pena è aumentata ad un periodo di reclusione compreso tra uno e cinque anni se il trasgressore è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio “con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”.
Volendo riassumere, in ambito privato, l’impiego di telecamere spia rappresenta un reato di natura penale (così come la violazione di domicilio); sul luogo di lavoro, invece, vigono le disposizioni previste dallo Statuto dei Lavoratori e dal Jobs Act del 2014: i dispositivi di registrazione video sono ammessi ma non a scopi ‘investigativi’ né in assenza di un accordo con la rappresentanza sindacale.
Come effettuare una bonifica da telecamere
Se si sospetta che in un ambiente o in un locale privati siano presenti telecamere spia, la soluzione migliore è rappresentata da una bonifica ambientale. Questa operazione può essere affidata ad un’agenzia di investigazioni privata specializzata: il mandato può essere conferito sia in prima persona sia per mezzo di un legale rappresentante. Le varie fasi di bonifica, infatti, devono essere svolte in maniera accurata e professionale da parte di tecnici esperti, in grado di assicurare il buon esito dell’operazione.
Il primo step di indagine consiste in una semplice perlustrazione visiva del perimetro esterno dell’ambiente da bonificare. Questa fase ‘attiva’ – in quanto non prevede l’impiego di dispositivi tecnologici – è un tentativo di individuazione di tracce anomale che potrebbero confermare la presenza di telecamere spia.
Una volta controllato l’esterno, gli investigatori procedono a scandagliare l’interno dell’ambiente o degli ambienti in cui si sospetta la presenza di telecamere occultate. Anche in questo caso, viene fatta anzitutto una perlustrazione, controllando tutti gli oggetti di arredo – soprattutto i più anonimi – all’interno dei quali potrebbe essere stata occultata una piccola telecamera (orologi da tavolo e simili); gli agenti si concentrano soprattutto su eventuali tracce di manomissione e alterazione.
A questo punto, le indagini approdano alla fase successiva (denominata ‘passiva’), che prevede l’utilizzo di un’apposita (e sofisticata) tecnologia. Nello specifico, i dispositivi più efficaci in dotazione agli investigatori sono le termocamere e il laser ad infrarossi. Le prime producono immagini termografiche, sia a colori sia in bianco e nero, che restituiscono un prospetto dettagliato di tutto l’ambiente. I dispositivi ad infrarossi, invece, consentono di portare alla luce i device occultati, quali microtelecamere e simili.
Quando gli agenti hanno completato la fase di individuazione e localizzazione delle telecamere nascoste, su consenso del mandante delle indagini, procedono alla rimozione delle stesse. La fase conclusiva dell’operazione di bonifica si articola in due momenti: la messa in sicurezza degli ambienti e la stesura di una relazione riassuntiva in cui gli agenti espongono tutto il lavoro svolto nel corso delle indagini. Il documento può essere utilizzato come integrazione della querela sporta dalla persona offesa, chiamata ad ottemperare il cosiddetto ‘onere della prova’.