Come avviene la raccolta prove per violazione del patto di non concorrenza

26 Mag , 2020 Indagini Aziendali

Come avviene la raccolta prove per violazione del patto di non concorrenza

La concorrenza è una delle principali caratteristiche del libero mercato; poiché, potenzialmente, può sortire effetti controproducenti sullo sviluppo di un determinato settore o di alcune attività, essa viene regolamentata da una precisa normativa, che individua tutte le azioni che integrano il reato di concorrenza sleale. In uno dei casi previsti dalla legge, tale reato si configura tramite un utilizzo di informazioni volto a gettare discredito su di un soggetto concorrente; per sventare questa eventualità, e salvaguardare la salute di un determinato segmento di mercato, esiste anche il patto di non concorrenza: vediamo di seguito di cosa si tratta e quali soggetti coinvolge.

Cos’è il patto di non concorrenza

Secondo quanto stabilito dall’articolo 2125 del Codice Civile, il patto di non concorrenza è “il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”. L’accordo ha una durata ben precisa, individuata in maniera insindacabile dal comma 2 del medesimo dispositivo: “La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata”.

In altre parole, il patto di non concorrenza è un accordo scritto, per mezzo del quale il prestatore di lavoro accetta specifiche limitazioni dell’esercizio della propria professione per il periodo successivo (non superiore a cinque anni) all’alienazione dell’azienda. Naturalmente, tali limitazioni devono essere circoscritte in maniera precisa, ossia non possono essere troppo ampi o troppo generici, sia per quanto riguarda le attività che il lavoratore non può svolgere sia per ciò che concerne l’area o i territori ai quali applicare il divieto.

Questi principi vengono ribaditi dall’articolo 2596 del Codice Civile (“Limiti contrattuali della concorrenza”), che disciplina in modo leggermente diverso l’attività del lavoratore dipendente dopo l’uscita da un’azienda: “Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio”.

Perché è importante

Gli accordi di non concorrenza possono essere stipulati tra datore di lavoro e dipendente oppure tra imprese; nel primo caso, il patto – per essere valido – deve possedere i requisiti sopra indicati; in aggiunta, deve poter garantire al prestatore di lavoro la possibilità di maturare un reddito e di esercitare le proprie capacità professionali per mezzo di un impiego congruente con la propria professionalità. Ad ogni modo, è evidente come il patto di non concorrenza sia molto importante soprattutto per le aziende, in quanto strumento di tutela dei propri interessi. Gli accordi di non concorrenza sono volti principalmente a proteggere l’azienda da atti di concorrenza sleale, individuati dall’articolo 2598 del Codice Civile, ossia “diffondere notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente”. Il patto di concorrenza estende oltre la fine del rapporto contrattuale l’obbligo di fedeltà del dipendente, secondo il quale “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio” (articolo 2105 c.c.).

Come spiega Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, le norme in vigore puntano ad evitare come un dipendente, una volta uscito da un’azienda, possa sfruttare le conoscenze acquisite (il cosiddetto know how, oppure informazioni di natura confidenziale) non solo a proprio vantaggio ma anche a discapito dell’azienda, ponendosi in concorrenza (sleale) con quest’ultima. In altre parole, la norma vuole impedire – per un ragionevole arco di tempo – che una risorsa alienata da un’azienda diventi un soggetto concorrente (ossia si rivolga allo stesso segmento di mercato oppure operi nel medesimo settore) sfruttando in maniera scorretta dati, informazioni e conoscenze acquisite durante il periodo di impiego presso il precedente datore di lavoro.

Come avviene la raccolta prove

Un’azienda che lo ritenga necessario, può disporre delle apposite indagini di controllo; il mandato può essere affidato ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in business intelligence. Nella maggior parte dei casi, l’incarico viene conferito all’agenzia da un legale rappresentante ma in alcuni casi ciò può essere fatto direttamente dal titolare dell’azienda in prima persona. Sulla base di quanto stabilito dalla normativa vigente in materia di limiti della concorrenza, l’azione investigativa può tradursi anche in un’indagine sui soci dell’azienda, oltre che su ex dirigenti e dipendenti. Il primo step previsto dalla prassi è quello di identificare il target delle indagini e fissare gli obiettivi dell’intervento investigativo; una volta chiariti questi due punti, le parti stipulano un contratto.

La fase investigativa vera e propria viene inaugurata dalla raccolta di tutti i dati relativi al soggetto delle indagini; gli investigatori incaricati acquisiscono curricula, lettere di referenze e tutto quanto possa risultare utile a delineare un profilo personale e professionale completo ed accurato. Il passaggio successivo consiste nell’implementazione di procedure di osservazione, che può essere sia dinamica (pedinamento) o statica (appostamento). In tal modo, gli investigatori possono acquisire materiale fotografico e video in grado di attestare la condotta del soggetto indagato durante un determinato lasso temporale; tramite la procedura di supervisione si ricostruiscono gli spostamenti giornalieri, così da dimostrare se l’ex prestatore di lavoro abbia già trovato un nuovo impiego e, se sì, in che ambito e presso quale azienda o altro. Le indagini possono essere ulteriormente approfondite cercando di individuare eventuali nuove fonti di reddito e la loro origine, così da poter determinare se i termini del patto di non concorrenza siano stati rispettati o meno. Al termine della procedura investigativa, gli agenti incaricati stilano una relazione tecnica, all’interno della quale illustrano il lavoro svolto sul campo ed i riscontri ottenuti durante le indagini. Tale documento viene consegnato al mandante delle indagini; nel caso in cui siano emersi dei riscontri negativi (ossia l’ex dipendente non abbia tenuto fede agli accordi circa i limiti contrattuali della concorrenza), la relazione tecnica investigativa può assumere valore probatorio in un eventuale procedimento giudiziario intentato per la richiesta di un risarcimento danni connesso ad atti di concorrenza sleale.


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