Concorrenza e storno dei dipendenti, cosa sapere
Una delle caratteristiche fondamentali del libero mercato è la concorrenza, ovvero la possibilità, da parte dei soggetti che operano in un determinato ambito, di competere tra loro nel rispetto di precisi limiti, imposti dalle normative di riferimento. Il Codice civile, ad esempio, individua tra gli “atti di concorrenza sleale” anche ogni “mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Tra le iniziative che possono danneggiare un’attività d’impresa concorrente vi è anche lo storno dei dipendenti, benché non sia citato esplicitamente: di seguito, vedremo in quali casi un’eventualità di questo tipo rappresenta effettivamente un atto di concorrenza sleale, anche in virtù degli sviluppi della relativa giurisprudenza.
Quando l’assunzione di dipendenti è concorrenza sleale
Come già accennato, gli atti considerati come “di concorrenza sleale” sono individuati dal Codice civile ed in particolare dall’articolo 2598. Il dispositivo stabilisce che “compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”. Il secondo comma del medesimo articolo dispone che anche la diffusione di “notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito” e l’appropriazione “di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente” rappresentano atti di concorrenza sleale. Come si evince da quanto riportato sin qui, il Codice civile non contempla, almeno non esplicitamente, il caso in cui l’assunzione di uno o più dipendenti di un’azienda concorrenza rappresenti un comportamento sleale. Ad ogni modo, come sottolinea Giusy Missere – Key Account Manager di Inside Intelligence & Security Investigations, tale eventualità può concretizzarsi se lo ‘storno’ di uno o più lavoratori arreca danno alla società o all’azienda presso la quale i dipendenti erano impiegati in precedenza. In concreto, ciò può verificarsi principalmente in un caso, quello in cui il prestatore di lavoro sia una figura altamente specializzata, assegnatario di mansioni specifiche che richiedono competenze acquisibili solo tramite studi specifici o adeguata formazione interna. In altre parole, quando un’azienda ‘storna’ una risorsa altamente qualificata ad un soggetto concorrente, può configurarsi un atto di concorrenza sleale. Naturalmente, spesso tocca all’autorità giudiziaria pronunciarsi in materia, per determinare se sussiste effettivamente una condotta sleale o illegittima e se l’azienda alienata dal dipendente ha effettivamente subito un danno oggettivo dallo storno di uno o più componenti del proprio personale interno.
Cosa dice la Cassazione
Poiché la concorrenza sleale per assunzione dipendenti non è un caso esplicitamente contemplato dalle norme di riferimento, è necessario fare riferimento agli sviluppi di giurisprudenza. La Corte di Cassazione di Macerata, con una sentenza emessa a luglio 2018, ha sottolineato come una condotta concorrenziale sleale “non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori (cosiddetto ‘storno di dipendenti’) da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente, attività in quanto tali legittime essendo espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica”. Un altro precedente giurisprudenziale, la sentenza n. 20228, emessa il 4 settembre 2013 dalla Corte di Cassazione, delinea in maniera più significativa gli estremi di individuazione delle condotte di concorrenza sleale per storno dipendenti. La Corte, chiamata a pronunciarsi in merito ad una sentenza del Tribunale di Lecco riguardante un caso di concorrenza sleale “mediante lo storno illegittimo di una nutrita serie di dipendenti la conseguente disgregazione della struttura aziendale e l’impossessamento delle liste della clientela”. In aggiunta, i giudici hanno ribadito che “lo storno dei dipendenti deve ritenersi vietato come atto di concorrenza sleale […] allorché sia attuato non solo con la consapevolezza nell’agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui impresa, ma altresì con la precisa intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi), la quale va ritenuta sussistente ogni volta che, in base agli accertamenti compiuti dal giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, lo storno dei dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale”.
Una più recente pronuncia della Cassazione, l’ordinanza n. 3865 del 17 febbraio 2020, oltre a ribadire l’insufficienza del solo storno ad implementare una condotta di concorrenza sleale ha sottolineato come “non può essere negato il diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purché ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente; è indiscutibile il diritto di ogni lavoratore di cambiare il proprio datore di lavoro, senza che il bagaglio di conoscenze ed esperienze maturato nell’ambito della precedente esperienza lavorativa, lungi dal permettergli il reperimento di migliori e più remunerative possibilità di lavoro, si trasformi in un vincolo oppressivo e preclusivo della libera ricerca sul mercato di nuovi sbocchi professionali”. Nel testo della sentenza si legge, inoltre, che “non è sufficiente, quanto all’elemento soggettivo, la mera consapevolezza in capo all’impresa concorrente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa, ma è necessaria l’intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi); inoltre la condotta deve risultare inequivocabilmente idonea a cagionare danno all’azienda nei confronti della quale l’atto di concorrenza asseritamente sleale viene rivolto”. In estrema sintesi, lo storno dipendenti costituisce un atto di concorrenza sleale solo se viene implementato con l’intenzione di provocare un danno ad un’attività concorrente, ovvero “è necessario invece che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso l’acquisizione di risorse del competitore, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando effetti distorsivi nel mercato”.
L’importanza delle indagini
Come si può evincere dai riferimenti giurisprudenziali, non è semplice determinare la natura ‘sleale’ di uno storno dipendenti. Ragion per cui, qualora il titolare di un’attività d’impresa voglia tutelare la propria azienda può rivolgersi ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in indagini sulla concorrenza, così da disporre verifiche professionali in grado di restituire riscontri di carattere oggettivo.
Il mandato d’indagine viene conferito da un legale rappresentante ma, in alcuni casi, il titolare dell’azienda può farsi carico di questa incombenza in prima persona. Le parti, dopo un primo contatto, stabiliscono gli obiettivi dell’intervento e li sottoscrivono tramite il conferimento di un mandato di incarico.
La fase attiva delle indagini consiste nell’acquisizione delle informazioni inerenti al profilo (o ai profili) che verranno sottoposti a verifica; nello specifico, tali dati possono riguardare sia i dipendenti già stornati sia l’azienda concorrente. Tali riscontri possono essere costituiti da curricula, contratti, registri dei turni e altra documentazione relativa al periodo di impiego presso l’ex azienda di impiego.
Al termine delle necessarie verifiche, gli agenti incaricati illustrano i risultati ottenuti tramite una relazione investigativa, un documento che può assumere valore probatorio all’interno di un procedimento giudiziario.