Concorrenza sleale dipendente, reato, codice civile
In ambito economico, la concorrenza è la competizione tra due o più aziende che operano all’interno dello stesso mercato (ossia il ‘luogo’ in cui si incontrano domanda e offerta) e che, per tanto, si rivolgono alla medesima tipologia di clientela. In regime di libero mercato, la concorrenza è del tutto lecita ma, per essere tale, deve rispettare le limitazioni imposte dalle leggi in vigore ed in particolare dal Codice Civile. Va precisato che, in diritto commerciale, la concorrenza viene trattata in maniera diversa, poiché la legislazione propende per la promozione e la tutela della stessa, al fine di arginare la formazione di cartelli e monopoli che determinino in maniera unilaterale l’andamento del mercato tramite la formazione di cartelli e pratiche collusive agli antipodi rispetto ad una leale concorrenza.
Correttezza professionale: quali sono i principi
Il lavoratore ha precisi obblighi nei confronti del proprio datore di lavoro. Nello specifico, si tratta di diligenza e fedeltà; il primo viene definito dall’articolo 2104 del Codice Civile il quale dispone che “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”. L’articolo 2105, invece, fornisce la definizione del secondo obbligo: “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
Quest’ultimo implica l’osservanza, da parte del prestatore di lavoro, di due ulteriori obblighi di carattere negativo, ossia il divieto di concorrenza e l’obbligo di riservatezza, entrambi annoverati nel Codice Civile.
Il primo trova espressione nell’articolo 2557: “Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta”. In sostanza, se un dipendente lascia l’azienda presso la quale era impiegato, per i cinque anni successivi non può iniziare una nuova attività che sia concorrenziale rispetto a quella dell’azienda ceduta.
Il divieto di concorrenza si associa al patto di non concorrenza, regolamentato dall’articolo 2125. Il dispositivo stabilisce il già citato limite di cinque anni, specificando che tale lasso di tempo riguarda i dirigenti d’azienda, mentre per tutti gli altri casi il termine è di tre anni (anche quando le parti pattuiscono un accordo di durata maggiore, come stabilito anche dall’articolo 2596, “limiti contrattuali della concorrenza”). In aggiunta, al comma 1, l’articolo dispone come “il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro è nullo se non risulta da atto scritto”.
Concorrenza sleale nel codice civile
È l’articolo 2598 del Codice Civile ad elencare gli “atti di concorrenza sleale”. Il reato si configura per chiunque “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri” oppure imita “servilmente” il prodotto di un concorrente. Costituisce concorrenza sleale anche la diffusione di informazioni diffamatorie ossia “notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito”.
Quando si parla di reato
Il reato di concorrenza sleale si configura, in primis, quando sussistono tutte le condizioni necessarie affinché tra due soggetti si instauri un regime concorrenziale. Ciò vuol dire che non può esserci concorrenza (sleale o meno) se non quando due aziende operano nello stesso ambito e si rivolgano alla stessa clientela.
Gli atti di concorrenza sleale possono poi concretizzarsi in tanti modi diversi. Una casistica piuttosto frequente è quella in cui un ex dipendente, una volta interrotto il rapporto di lavoro, inizia una nuova attività riconducibile allo stesso ambito o settore dell’azienda presso cui era impiegato precedentemente. Questo genere di azione viola il già citato patto di non concorrenza e si traduce in una concorrenza sleale dell’ex dipendente, in quanto quest’ultimo può utilizzare a proprio vantaggio sia le competenze e le tecniche (il ‘know how’) apprese nel corso della precedente esperienza lavorativa, sia sfruttare dati sensibili (come ad esempio strategie operative, volumi di vendita, bilanci e altro) per il cosiddetto ‘sviamento’ o ‘storno’ della clientela.
Per quanto concerne le sanzioni, il riferimento normativo è l’articolo 2599 del Codice Civile mentre, più in generale, vi sono numerose sentenze della Corte di Cassazione a costituire la corposa giurisprudenza della concorrenza sleale. Il dispositivo, di per sé, è molto generico in quanto si limita ad affermare quanto segue: “la sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti”.
In concreto, le sanzioni nei confronti di chi commette atti di concorrenza sleale consistono sostanzialmente nell’ordine di cessazione dell’attività in corso e nel successivo divieto di svolgere nuovamente una certa attività. La sentenza n. 3179 emessa nel 1987 dalla Corte di Cassazione era inerente ad un caso di specie particolare, ossia l’utilizzo illegittimo di frequenze per la trasmissione televisiva. Nello specifico, i giudici stabilirono che per il titolare di un impianto di trasmissioni che utilizzava bande o frequenze senza autorizzazione si configurava il reato contemplato dall’articolo 2598 del Codice Civile, tale da imporre la cessazione dell’attività ed un eventuale risarcimento danni a favore di un imprenditore concorrente.
Come contrastarla
La concorrenza sleale può danneggiare non poco l’attività di un’azienda, tanto in termini di credibilità quanto in termini di profitto. I ‘segnali’ che possono svelare l’esistenza di una condotta scorretta da parte di uno o più concorrenti sono diversi e vanno dalla riduzione della clientela alla contrazione dei profitti fino alla circolazione di informazioni riservate o denigratorie. È chiaro, quindi, che un’azienda o una società abbia interesse a contrastare pratiche illecite che possono risultare lesive alla propria reputazione.
Per fare ciò, il titolare dell’attività (oppure un legale rappresentante) può dare mandato ad un’agenzia di investigazioni private per lo svolgimento di indagini di controllo a carico di soci, dipendenti o ex dipendenti. Le investigazioni sono volte alla raccolta di dati e prove che verranno in seguito utilizzate per la redazione di una relazione finale che potrà essere utilizzata in sede giudiziale.
Le operazioni di indagine prevedono uno studio di fattibilità su quelli che sono i sospetti esposti e di seguito verrà impostata l’operativa che potrà prevedere attività statica ( appostamento ) eattività dinamica ( pedinamento ) per l’acquisizione di prove relative a frequentazioni, di luoghi e persone, dei soggetti indicati nel mandato. Fondamentale sarà la verifica dei Sistemi Informatici dell’azienda a mezzo della Digital Forensics per individuare eventuali illecite intrusioni e la alterazione/copia di documenti delicati per poi, a mezzo della Digital Security, porli immediatamente in sicurezza, da attacchi interni ed esterni, utilizzando interventi di valutazione come la Vulnerability Assessment & Mitigation e la Penetration Test.
indagini sui dipendenti, indagini sulla concorrenza