Cosa si intende per licenziamento dirigente e quando è per giusta causa

4 Ago , 2020 Indagini Aziendali

Cosa si intende per licenziamento dirigente e quando è per giusta causa

L’organico di una società o di un’azienda, di dimensioni anche di poco superiori a quelle di una ditta individuale, prevede la presenza di un certo numero di lavoratori subordinati; questi, secondo quanto disposto dall’articolo 2095 del codice civile, sono prestatori di lavoro subordinato che “si distinguono in dirigente, quadri, impiegati e operai”. I dirigenti, quindi, occupano la posizione di maggior preminenza nella struttura dell’organizzazione interna della società e dell’azienda, in quanto hanno maggiori poteri ma anche maggiori responsabilità rispetto alle altre figure che completano l’organico aziendale. Ciò non vuol dire che i dirigenti non siano immuni da provvedimenti disciplinari che possono comprendere anche il licenziamento: vediamo di seguito in quali casi è possibile interrompere il rapporto di lavoro con un dirigente per “giusta causa” e come far valere le proprie ragioni grazie ad apposite indagini aziendali.

Licenziamento dirigente cosa vuol dire

Per licenziamento dirigente si intende quel provvedimento disciplinare preso dal datore di lavoro (o da un delegato di quest’ultimo) che comporta l’interruzione del rapporto di lavoro; la rescissione unilaterale del contratto può avvenire per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo, secondo le stesse modalità previste per gli altri lavoratori subordinati, sia in considerazione delle norme in vigore sia sulla base di quanto stabilito dalla giurisprudenza di merito. Ad ogni modo, il dirigente – come qualsiasi altra categoria di lavoratore – non può essere licenziato per ragioni discriminatorie o arbitrarie, in quanto verrebbe a mancare un valido fondamento per prendere un provvedimento di questo tipo nei confronti del lavoratore.

È questo quanto emerge dalla sentenza n. 7880 del 30 marzo 2007 formulata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; nel documento della sentenza, infatti, si legge che “le garanzie procedimentali previste per il licenziamento dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori trovano applicazione pure quando il licenziamento stesso riguardi un dirigente, ancorché di livello apicale”. L’articolo citato dalla sentenza della Cassazione è quello che regola le sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori; in particolare, il dispositivo stabilisce che le sanzioni devono essere comunicate ai lavoratori e che “il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa”. In sostanza, quindi, le modalità di licenziamento di un dirigente ricalcano quelle di un dipendente di rango inferiore, sia nei modi che nei tempi.

Licenziamento per giusta causa di un dirigente

Sulla base di quanto sottolineato fin qui, emerge come sia possibile licenziare un dirigente per giusta causa; come spiega Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, un provvedimento disciplinare di questo tipo può essere implementato al verificarsi di determinate circostanze, tali da giustificare un’interruzione immediata del rapporto di lavoro. Nello specifico, un dirigente è passibile di licenziamento in tronco quando la sua condotta personale e professionale è tale da compromettere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, oppure reca un danno economico o reputazionale all’azienda presso la quale è impiegato. Il licenziamento per giusta causa è motivato anche da comprovata inadeguatezza al ruolo ricoperto od alle mansioni assegnate o per il mancato raggiungimento di un determinato obiettivo. È bene ricordare che la rescissione del contratto lavorativo di un dipendente o di un dirigente “per giusta causa” è diverso da quella per “giustificato motivo oggettivo”; nel primo caso, viene sanzionata l’inadeguatezza del lavoratore (o la mancata ottemperanza di regole o direttive) mentre nel secondo caso il licenziamento è giustificato da fattori esterni o da cause di forza maggiore, come ad esempio una congiuntura economica sfavorevole che obbliga il titolare dell’azienda a ridurre i ranghi dell’organico o a riorganizzare l’assetto interno della propria attività.

Licenziamento dirigente ed indagini

Il licenziamento per giusta causa di un dipendente, di qualsiasi rango, deve essere motivato in maniera valida ed inconfutabile; in altre parole, deve sussistere in modo indiscutibile una ‘buona ragione’ affinché il provvedimento possa essere considerato legittimo. Il codice civile, infatti, disciplina il cosiddetto “onere della prova” (articolo 2697) secondo il quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. Nell’ambito dei rapporti lavorativi e delle modalità di interruzione di questi ultimi, l’onere ricade sul datore di lavoro, in quanto soggetto chiamato a comprovare la ‘giustificatezza’ del proprio provvedimento. A tale scopo, per raccogliere prove a carico di un dipendente di rango dirigenziale, è possibile rivolgersi ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in business intelligence e indagini sui dipendenti. L’incarico viene conferito, nella maggior parte dei casi, da un legale rappresentante ma talvolta può essere lo stesso titolare dell’azienda a farsi carico di questa incombenza in prima persona. Una volta affidato il mandato d’indagine all’agenzia, le parti concordano gli obiettivi da perseguire per mezzo della procedura investigativa.

Il primo step consiste nell’acquisizione della documentazione relativa al soggetto da sottoporre ad indagine; gli investigatori incaricati si fanno consegnare il curriculum, il contratto di lavoro, eventuali lettere di referenze o di presentazione; ciò servirà a delineare un accurato profilo personale e professionale del target delle indagini. Per le operazioni che riguardano figure dirigenziali, è possibile che tra il mandante e il mandatario venga stipulato un accordo di riservatezza che tuteli l’azienda e la privacy di informazioni riservate o dati sensibili.

La seconda fase dell’iter investigativo consiste nell’implementazione delle due principali procedure di supervisione: quella attiva (pedinamento) e quella passiva (appostamento), durante le quali gli agenti incaricati possono acquisire materiale fotografico e video per documentare in maniera inconfutabile la condotta del soggetto indagato in un determinato contesto di tempo e luogo. Queste procedure possono essere particolarmente utili per verificare l’idoneo utilizzo di permessi retribuiti (malattia, permessi ex Legge 104, permessi sindacali e altri) oppure per comprovare un comportamento che rientri nella concorrenza sleale, anche dopo l’uscita del dirigente dalla società (qualora abbia sottoscritto, in precedenza, un patto di non concorrenza e quest’ultimo sia ancora valido). Ulteriori verifiche possibili da parte degli investigatori possono includere: l’individuazione di fonti alternative di reddito (doppio lavoro) o l’inclusione in varie blacklist o watchlist. Al termine delle indagini, gli investigatori redigono una relazione tecnica, all’interno della quale viene illustrato il lavoro svolto e sono evidenziati i risultati ottenuti. Tale documento viene consegnato al mandante delle verifiche il quale, sulla base dei riscontri emersi, potrà decidere quale tipo di sanzione comminare al dirigente sottoposto ad indagine; qualora opti per il licenziamento e il lavoratore impugni la decisione ritenendola illegittima, il datore di lavoro può ricorrere alla relazione come ulteriore elemento probatorio.


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