Legge 104: quanto costano alle aziende gli abusi

10 Ott , 2020 Indagini Aziendali

Legge 104: quanto costano alle aziende gli abusi

Il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è regolato, su più livelli, da norme di vario tipo e, naturalmente, dal contratto sottoscritto dalle parti. Tali riferimenti concorrono a definire i diritti e i doveri, tanto del prestatore di lavoro quanto del soggetto che beneficia della prestazione, in modo tale da tutelare il più possibile gli interessi di ambo le parti. Tra gli strumenti di tutela dei lavoratori dipendenti più diffusi vi è la Legge n. 104 del 1992, che garantisce misure assistenziali e agevolazioni ai portatori di handicap o di disabilità concedendo, tra le altre, tre giorni di permesso pagati per prestare assistente ad un familiare o ad un convivente afflitto da disabilità o da una patologia invalidante. Purtroppo, spesso tali permessi vengono impiegati in modo improprio: di seguito, vedremo in quali circostanze si configura un abuso e quali sono i costi che si ripercuotono sull’azienda.

Abusi permessi 104, un problema per le aziende italiane

La già citata Legge n. 104 del 1992 (“Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”) ha introdotto una serie di misure, poi ulteriormente regolamentate dalla Legge n. 114 del 2014(la normativa è stata successivamente integrata da due circolari emesse dall’INPS). L’obiettivo primario di tali misure era rimuovere “le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali”. Ciò nonostante, si registrano di frequente casi di abuso degli strumenti messi a disposizione dalla legge, non tanto a favore delle persone affette da disabilità quanto dei parenti e dei familiari nelle vesti di lavoratori dipendenti. Questo fenomeno rappresenta un problema per le aziende italiane in quanto, come sottolinea Giusy Missere – Key Account Manager di Inside Intelligence & Security Investigation, l’abuso dei permessi retribuiti ex Legge 104 alimenta un malcostume piuttosto diffuso, quello dell’assenteismo. In altre parole, il ricorso alle ore o ai giorni di permesso risulta spesso essere l’espediente adoperato dal dipendente assenteista per motivare la mancata prestazione lavorativa in assenza di un reale e fondato motivo. Un comportamento di questo tipo danneggia principalmente l’azienda (il datore di lavoro), sia dal punto di vista organizzativo che sotto l’aspetto economico, in quanto comporta l’erogazione di una retribuzione in assenza di una reale prestazione lavorativa. Un altro aspetto problematico di questo genere di condotta è di ordine etico: l’abuso, infatti, se reiterata nel tempo, lede il rapporto fiduciario che deve sussistere tra dipendente e datore di lavoro; ne consegue che il primo risulti maggiormente esposto ad azioni sanzionatorie che, nei casi più gravi, possono concretizzarsi nella rescissione del contratto.

Quando si può parlare di abuso

L’utilizzo dei permessi retribuiti ex Legge 104 è stato, nel corso degli anni, oggetto di una variegata giurisprudenza. In origine, in fatti, le ore e i giorni di permesso concessi al dipendente dovevano essere deputati in maniera esclusiva alla prestazione di assistenza al familiare o al convivente portatore di disabilità. Con il tempo, questa interpretazione particolarmente rigida del riferimento normativo si è modificata in maniera significativa, ridimensionando il carattere assoluto e continuativo dei doveri del beneficiario in termini di assistenza al familiare o convivente affetto da handicap o patologia invalidante. A tal proposito, sarebbe necessario riportare tutti gli sviluppi giurisprudenziali più significativi ma, per dare un’idea della direzione intrapresa dall’orientamento di giurisprudenza, è possibile fare riferimento ad una recente pronuncia della Cassazione in materia, ossia la sentenza n. 23891 emessa il 2 ottobre del 2018 dalla Corte di Cassazione; in tale sede, i giudici hanno rilevato che “il comportamento del lavoratore subordinato che si avvalga del permesso di cui all’art. 33 L. 104 del 1992 non per l’assistenza familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso di diritto” poiché, si legge nella sentenza, “tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente», ed anche perché«integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale”. Ad ogni modo, i giudici non escludono la possibilità di svolgere altre attività al di fuori di quella meramente assistenziale ma attribuiscono al lavoratore “l’onere di dimostrare il collegamento delle incombenze svolte durante i permessi con l’assistenza ai parenti disabili ed ha ritenuto assolto tale onere”. In sostanza, le ore di permesso retribuito riconosciute in virtù della Legge 104 possono essere utilizzate, in parte, per svolgere attività secondarie connesse ai bisogni assistenziali del familiare o del convivente disabile; ne consegue che si configura un abuso di diritto nel caso in cui il permesso erogato dal datore di lavoro venga utilizzato per scopi strettamente personali o ricreativi, come ad esempio per andare in palestra o svolgere commissioni private, non direttamente riconducibili ad esigenze di carattere esistenziale.

Quanto costano alle aziende questi abusi

L’abuso dei permessi retribuiti comporta una serie di costi che gravano sull’azienda presso la quale è impiegato il dipendente; tali costi possono essere categorizzati come segue:

  • Costo economico: il dipendente che non effettua la prestazione di lavoro, ricevendo comunque la retribuzione stabilita per contratto; ciò vuol dire che il corrispettivo economico viene elargito in assenza di una prestazione in cambio;
  • Costo previdenziale: come già sottolineato, l’assenteismo ‘giustificato’ a mezzo di un permesso ex Legge 104/92 comporta anche la percezione indebita di un’indennità, in quanto non controbilanciata dalla prestazione lavorativa;
  • Costo organizzativo: l’assenza reiterata di un dipendente può comportare, per l’azienda, difficoltà a riorganizzare le proprie attività interne, con possibili ripercussioni anche sull’efficienza e la produttività.

Ragion per cui, è nell’interesse dell’azienda – al fine di tutelare la propria attività – cercare di individuare i casi di abuso dei permessi ex Legge 104, così da limitare o annullare i costi che ne derivano. A tale scopo, è possibile avvalersi della consulenza di un’agenzia di investigazioni privata specializzata in indagini sui dipendenti. In tal modo, è possibile affidare l’incarico a personale esperto e qualificato, in grado di condurre le verifiche necessarie nel rispetto delle restrizioni imposte dalle normative in vigore. Il mandato può essere affidato direttamente dal datore di lavoro, oppure (come da prassi consolidata), dal suo legale rappresentante. Gli agenti incaricati, dopo aver concordato con il committente gli obiettivi dell’intervento, procedono ad implementare attivamente le procedure d’indagine. Il primo step consiste nell’acquisire le informazioni identificative del soggetto da sottoporre ai controlli, con particolare attenzione alle abitudini del medesimo e con la ricerca di ogni notizia che possa risultare utile per l’attività investigativa vera e propria; segue una fase di osservazione (con acquisizione contestuale di materiale fotografico e video) mediante la quale si ricostruisce la condotta del target delle indagini in un determinato contesto di tempo e luogo. I riscontri ottenuti vengono illustrati in una relazione investigativa, un documento che può assumere valore probatorio nell’ambito di un procedimento giudiziario.


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