Cosa succede e come comportarsi in caso di doppio lavoro nel periodo di infortunio
Il comportamento dei lavoratori dipendenti può spesso generare controversie con il datore di lavoro. Determinati atteggiamenti, come ad esempio l’assenteismo, possono essere sanzionati secondo il regolamento interno all’azienda oppure, nei casi più gravi, determinare l’interruzione del rapporto di lavoro. Tra le possibili condotte ‘punibili’ del dipendente, il doppio lavoro non autorizzato rientra tra quelle che possono provocare il licenziamento.
Cosa si intende per doppio lavoro
Sia in ambito pubblico che privato, quando si parla di doppio lavoro si fa riferimento a quella condizione per la quale la stessa persona svolge due attività lavorative contemporaneamente; in altre parole, lo stesso dipendente è impiegato presso due differenti datori di lavoro. Sono contemplati alcuni casi in cui svolgere un doppio lavoro è consentito mentre in molti altri ciò è vietato; un ulteriore distinguo è quello tra dipendente pubblico e privato. Nel primo caso, un impiegato del settore pubblico deve rispettare una serie di limitazioni relative alla possibilità di avere un secondo lavoro.
Anzitutto, il dipendente pubblico non può lavorare anche per un’azienda o una società privata, soprattutto perché ciò compromette l’imparzialità che il lavoratore deve avere durante lo svolgimento delle proprie mansioni. In aggiunta, non può ricoprire cariche in una società con scopo di lucro né svolgere attività di natura commerciale o industriale; infine, non può svolgere incarichi retribuiti da un soggetto diverso dall’ente di appartenenza. I casi sopra descritti rientrano nel contesto di incompatibilità assoluta del doppio lavoro; altre fattispecie, invece, presentano il problema dell’incompatibilità relativa; in altri termini, una seconda occupazione non è vietata in senso assoluto ma solo al verificarsi di alcune condizioni: la concomitanza delle attività lavorative non deve essere vietata dalla legge, non deve comportare un conflitto di interesse né tantomeno pregiudicare la qualità della prestazione lavorativa in termini di diligenza ed efficienza.
Il dipendente pubblico può, di contro, svolgere un doppio lavoro – senza la necessità di ottenere l’autorizzazione dall’ente presso il quale è impiegato – nei seguenti casi: collaborazione con giornali e riviste, percezione di profitti derivati da opere di ingegno (come ad esempio i diritti di autore derivati dalla pubblicazione di un’opera originale), partecipazione a convegni o seminari, svolgimento di attività che prevedano il solo rimborso delle spese documentate o di attività sindacali, svolgimento di attività di formazione per i dipendenti pubblici.
Per quanto riguarda i lavoratori del settore privato, i fattori da tenere in considerazione sono altri. Avere un secondo impiego non è vietato in senso assoluto ma può essere consentito solo in determinati casi. Alla luce di quanto disposto dall’articolo 2105 del Codice Civile, ossia il divieto per il dipendente di “trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore”, il secondo impiego (sia esso a tempo determinato, indeterminato o parziale) non può essere in concorrenza con il primo, in quanto ciò metterebbe in discussione il rapporto fiduciario tra le parti. Nello specifico, il lavoratore non rispetterebbe né l’obbligo di fedeltà né il patto di non concorrenza, valido solo se prodotto in forma scritta.
Un altro punto cruciale è la compatibilità degli orari di lavoro. Da questo punto di vista, lo svolgimento del doppio lavoro non può sussistere se gli orari delle due occupazioni si sovrappongono, anche solo parzialmente. A proposito degli orari di lavoro, lo svolgimento di due attività lavorative – se lecito o autorizzato – deve rispettare il limite delle ore lavorabili settimanali. Per quanto riguarda, infine, le ‘prestazioni occasionali’, esse non sono incompatibili con un impiego retribuito ma, naturalmente, non è possibile svolgere tale tipo di prestazione presso l’azienda presso cui si è impiegati per contratto, nel rispetto del principio onnicomprensività dei redditi.
Lavorare durante il periodo di infortunio per altre aziende
Alla luce di quanto sottolineato finora, i casi di ‘doppio lavoro’ vanno analizzati singolarmente poiché le circostanze possono variare, anche sensibilmente. Non è raro che una seconda attività lavorativa venga svolta in maniera illecita, facendo ricorso a vari espedienti. Ne è un esempio il secondo lavoro svolto durante un periodo di infortunio.
In questo caso, il dipendente produce una falsa attestazione medica, simulando uno stato di infortunio o malattia con lo scopo di assentarsi dal luogo del primo impiego per svolgere una seconda attività lavorativa. In questo scenario, il lavoratore non solo dichiara il falso, pregiudicando il rapporto fiduciario che deve sussistere tra dipendente e datore di lavoro, ma viola uno dei principi che rende impossibile lo svolgimento di un doppio impiego (la compatibilità degli orari).
Cosa si rischia
Un dipendente che assuma la condotta sopra descritta, si espone ad una serie di provvedimenti disciplinari che – nei casi più gravi – possono concretizzarsi nel licenziamento per giusta causa.
Anche qui, è necessario distinguere tra pubblico e privato. Un dipendente pubblico, in caso di doppio lavoro non autorizzato, riceve dapprima una sanzione ‘lieve’, ovvero una diffida: in tal modo, l’ente comunica di essere a conoscenza dei fatti e intima il lavoratore ad interrompere lo svolgimento della seconda attività lavorativa non consentita. La falsa certificazione medica, invece, rappresenta una falsa dichiarazione, della quale deve rispondere anche il medico che l’ha prodotta; le ore di permesso retribuito ottenute per falso infortunio o malattia configurano il reato di percezione indebita di erogazioni statali.
Nel settore privato, la falsa malattia (che non può essere che tale se il relativo permesso viene speso per lo svolgimento di una seconda attività lavorativa) può parimenti rappresentare – da sola – una valida motivazione di licenziamento. Il secondo lavoro può rappresentare un aggravante, specie se rappresenta un atto di concorrenza sleale.
Come indagare
Per tutelare gli interessi propri e dell’azienda, l’imprenditore può commissionare delle indagini di controllo (sia personalmente sia tramite un legale rappresentante) ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in indagini aziendali sui dipendenti e sui soci.
La fase di investigazione prende le mosse dall’acquisizione dei dati di identificazione del soggetto da sottoporre ad indagine. Fatto ciò, gli agenti registrano le attività del dipendente, tramite tecniche di osservazione dinamica (pedinamento) e statica (appostamento); questa parte delle indagini consente di raccogliere materiale fotografico e audiovisivo indispensabile per ricostruire con precisione il comportamento del dipendente durante le ore di assenza dal luogo di lavoro. Per verificare l’eventualità che tali ore vengano sfruttate per svolgere una seconda attività lavorativa, gli agenti verificano la presenza di eventuali fonti alternative di reddito non compatibili con quella primaria. I rilievi mettono fisiologicamente in mostra come la malattia o l’infortunio attestato dal dipendente non corrispondano alla situazione reale. Al termine del processo investigativo, gli agenti stilano una relazione finale, all’interno della quale sono riassunte tutte le verifiche effettuate e i dati raccolti. Nel caso di un procedimento giudiziario, il mandante delle indagini può presentare la relazione, per ottemperare al cosiddetto ‘onere della prova’.
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