Falsa attestazione della presenza in servizio, quando licenziare

11 Set , 2019 Indagini Aziendali

Falsa attestazione della presenza in servizio, quando licenziare

Il fenomeno della falsa attestazione della presenza in servizio è qualcosa che, come noto, riguarda prevalentemente il settore pubblico, dove per questioni di struttura e organizzazione risulta essere più semplice evadere le proprie responsabilità professionali rispetto a quanto avviene nel settore privato, ma questo ovviamente non preclude che anche nelle grandi aziende ciò non avvenga. Con il termine giuridico di cui sopra si va a indicare la situazione nella quale il lavoratore timbra il proprio cartellino a inizio giornata ma non presta servizio, allontanandosi dal luogo di lavoro per i propri interessi personali, per poi timbrare nuovamente a fine giornata e simulare di fatto l’avvenuta prestazione lavorativa; o in ogni caso, quando con il medesimo procedimento si fa risultare un differente orario di lavoro. Sovente queste azioni prevedono l’aiuto di un collega complice all’interno dell’ambiente professionale, il quale sarà fornito precedentemente del badge personale dell’assenteista (comportamento da considerarsi illegittimo, in quanto il cartellino marcatempo è un documento ad uso esclusivo del titolare e dunque non cedibile a terzi), e che con buona probabilità si vedrà ricambiato il favore in un’altra occasione con modalità analoghe. Il vantaggio che si trae da questa truffa è ovviamente che la giornata di lavoro fatta figurare in maniera fittizia verrà regolarmente retribuita, e non conteggiata come ferie o permessi. Per portare alla luce questo inadempimento del contratto, ed eventualmente decidere di licenziare il dipendente, è possibile farsi aiutare da consulenti investigativi esperti in casi di assenteismo, in grado di offrire un parere sulle modalità di azione. Vediamo dunque cosa può (e non può) fare il datore di lavoro in questi casi.

Falsa attestazione della presenza in servizio e possibilità di licenziamento

La falsa attestazione della presenza in servizio è un grave comportamento doloso, in quanto induce in errore il datore di lavoro, e come tale rende legittimo il licenziamento del dipendente. Nella fattispecie, quando un dipendente viene accertato in flagranza o tramite rilevazioni effettuate con la strumentazione di sorveglianza o di registrazione degli accessi propria del luogo di lavoro, il datore di lavoro deve disporre la sospensione cautelare e dello stipendio del lavoratore entro 48 ore dalla conoscenza del fatto, con provvedimento motivato ma senza obbligo alcuno di un confronto preventivo con il dipendente. 

È doveroso qui soffermarsi per un momento sul fattore della legalità inerente all’utilizzo di una consulenza investigativa: come ribadito infatti dalla Corte di Cassazione con la sentenza n° 21621 del 4 settembre 2018, seppure il datore di lavoro sia legittimato, secondo l’art. 2 e l’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori, a ricorrere ad un’agenzia investigativa per la tutela del patrimonio aziendale, risulta in ogni caso illegittimo il licenziamento del lavoratore reo di falsa attestazione della presenza in servizio che sia avvenuto tramite agenzie investigative; questo perché il controllo diretto di un’agenzia non può in alcun modo riguardare l’adempimento e l’inadempimento della prestazione contrattuale, ed è invece limitato agli atti illeciti aquiliani, ossia quelli non riguardanti la sfera dell’adempimento. Ciò non preclude ovviamente la possibilità di coordinare i controlli interni con la direzione di consulenti investigativi, i quali essendo pienamente competenti in materia possono indirizzare il datore di lavoro per permettergli di procedere correttamente nel rilevare l’inadempimento del dipendente e rendere legittimo il suo licenziamento.

Falsa attestazione della presenza in servizio e danno d’immagine

Nel caso il reato avvenga, come nella maggior parte dei casi, all’interno del settore pubblico, la falsa attestazione comporta non solo il licenziamento del dipendente, ma anche l’obbligo di risarcimento del danno d’immagine subito dalla Pubblica Amministrazione. Pur essendo questa decisa in via equitativa dal giudice, non può in ogni caso essere inferiore alle sei mensilità dell’ultimo stipendio dovuto, a cui poi si aggiungono le spese di giustizia. Il procedimento è competenza della Corte dei Conti, alla quale deve pervenire la denuncia entro 15 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare, così come al Pubblico Ministero. Entro 150 giorni dal ricevimento avverrà invece l’azione da parte della Corte dei Conti e delle Procure, e ciò per assicurare una maggiore separazione tra il procedimento disciplinare e i progetti penali.

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