Cosa si intende per indagini aziendali per ammanchi e come si effettuano

La gestione delle risorse finanziarie rappresenta un aspetto importante delle attività aziendali; in particolare, il monitoraggio delle spese ordinarie e straordinarieè ciò che consente all’azienda di modulare le proprie attività e di pianificare le azioni future. Ne consegue che un controllo costante dei flussi di denaro in entrata e in uscita sia assolutamente necessario e che, in caso di incongruenze, chi è responsabile della gestione o della supervisione di questo genere di aspetti debba prendere le necessarie contromisure.
Cosa si intende per ammanco
Secondo quanto riportato dalla versione online della Enciclopedia Treccani, per ammanco bisogna intendere una “mancanza di denaro, per disordine amministrativo o per deliberata sottrazione”. In altre parole, come spiega Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, l’ammanco – ossia una somma di denaro che risulta mancante in maniera non congruente con i prospetti di riferimento – non è sempre un fenomeno di natura fraudolenta, ma può essere causato da fattori di diversa natura. Tra questi vi è il mero errore umano, che può consistere in una errata trascrizione di dati o in un errore di computazione. Allo stesso modo, se la gestione degli importi è affidata ad un sistema digitalizzato, l’ammanco può essere derivato da un errato inserimento dei dati nel sistema oppure da un errore del software. Quando invece si configura la “deliberata sottrazione”, l’ammanco (o “buco di cassa”) deriva da un’azione umana dolosa, in quanto finalizzata alla frode nei confronti dell’azienda.
Come indagare per casi come questi
Un’azienda che registra un ammanco – sia esso sporadico o reiterato –ha il diritto di tutelare i propri interessi e di intervenire nel merito, a tutela della propria attività e del profitto che da essa deriva. In particolare, può disporre specifiche indagini aziendali, rivolgendosi ad un’agenzia di investigazione privata, in modo tale da affidare le verifiche a personale qualificato e specializzato.
Il primo passo della procedura d’indagine consiste nell’acquisizione della documentazione relativa ai dipendenti che più o meno direttamente sono coinvolti nella gestione della cassa (o hanno funzioni affini). In particolare, gli agenti entrano in possesso di documenti quali contratti di assunzione, curriculum ed eventuali lettere di referenze. Se necessario, gli agenti possono richiedere anche la documentazione relativa agli inventari, poiché gli ammanchi possono concretizzarsi anche sotto forma di sottrazione di beni e prodotti stoccati in magazzino. Una volta acquisita tutta la documentazione necessaria, gli agenti la passano scrupolosamente al vaglio alla ricerca di riscontri che possano indicare eventuali responsabilità da parte di uno o più dipendenti, come ad esempio un volume anomalo di operazioni di cassa da parte di un singolo operatore oppure una grossa quantità di prodotto mancante dagli inventari di magazzino rispetto alle bolle d’acquisto.
Gli investigatori, va ricordato, non possono ricorrere a telecamere o dispositivi analoghi, così come il datore di lavoro non può in quanto, secondo le disposizioni dello Statuto dei Lavoratori, “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive”. Ciò non impedisce agli agenti di attuare una supervisione visiva (pedinamento e appostamento) dei soggetti sottoposti a controllo, così da produrre materiale fotografico o video in grado di comprovare l’eventuale condotta fraudolenta o negligente del dipendente. Qualora la gestione delle spese e degli incassi preveda l’utilizzo di un sistema digitale, gli investigatori possono integrare le verifiche sopra descritte con procedure di Network e Computer Forensics, allo scopo di verificare eventuali manomissioni del sistema o violazioni delle misure di sicurezza. I riscontri ottenuti in fase di indagine vengono riportati in una relazione tecnica finale.
Cosa fare in caso di ammanco?
Nel caso in cui le indagini sopra citate riescano ad individuare il soggetto direttamente responsabile dell’ammanco, l’azienda può tutelarsi prendendo gli opportuni provvedimenti, ovvero comminando una sanzione al dipendente. In genere, è possibile fare riferimento al regolamento interno; nella maggior parte dei casi, specie se si tratta di ammanchi di particolare tenuità, il dipendente può essere chiamato al risarcimento della somma o, a limite, essere sanzionato con un richiamo o un’ammonizione. Come detto, molto dipende dalle peculiarità del caso di specie: se gli ammanchi sono ingenti o se le sottrazioni indebite risultano essere state perpetrare in maniera continuativa in un lungo arco di tempo, la sanzione può concretizzarsi al suo massimo con l’interruzione del rapporto di lavoro.
Sulla possibilità di licenziare un dipendente per un ammanco di cassa è necessario citare la sentenza n. 22380 emessa il 13 settembre 2018 dalla Corte di Cassazione. Nella fattispecie, i giudici hanno giudicato illegittimo il licenziamento di una dipendente (accertandone la “natura discriminatoria”), accusata di aver sottratto una somma pari a 1.500 euro “prelevandola dal fondo di cui era in possesso, tacendone con la direttrice del locale e poi anche con gli ispettori, riponendola nel suo armadietto e solo successivamente consegnandola agli ispettori”. Nella sentenza si legge come i fatti, riportati coerentemente da entrambe le parti, siano stati interpretati in maniera differente; “la lavoratrice” – si legge – “aveva dichiarato di aver dimenticato il danaro nella tasca del grembiule e di essersene accorta solo quando, rientrata al lavoro dopo due giorni di riposo, aveva nuovamente indossato la divisa. Aveva poi evidenziato una volta avvedutasi della dimenticanza non aveva potuto accedere alla cassetta di sicurezza e, perciò, aveva riposti provvisoriamente il denaro nel suo armadietto”. La società datrice di lavoro, invece, aveva interpretato questa condotta in maniera differente, sostenendo che “la mera dimenticanza era poco credibile e che invece era verosimile che la somma fosse stata trattenuta per farne un uso personale salvo poi riportarla quando aveva avuto sentore dell’ispezione interna”.
In sostanza, i giudici hanno dichiarato illegittimo il provvedimento e costretto l’azienda a reintegrare la dipendente perché il datore di lavoro non era stato in grado di dimostrare la natura fraudolenta della condotta della lavoratrice; come si legge nella sentenza “la giusta causa di licenziamento deve essere provata dal datore di lavoro che lo ha irrogato ed ha accertato che la prova offerta in giudizio non era convincente”.
Diverso il caso in cui l’ammanco sia provocato da una dimenticanza, come ad esempio non dare il resto o non emettere lo scontrino fiscale. In tal caso, il lavoratore responsabile è maggiormente esposto, per due motivi. Il primo è che una condotta di questo genere rappresenta una generale mancanza rispetto gli obblighi del dipendente verso il datore di lavoro (diligenza e fedeltà, come stabilito dal Codice Civile). Il secondo è che questo genere di negligenza può ripercuotersi anche sull’azienda stessa, in particolare in occasione di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza, da momento che il resto non corrisposto o l’importo non contabilizzato tramite fattura potrebbe essere intascato direttamente dal dipendente anziché essere collocato in cassa.