Cosa si intende per infedeltà aziendale e normativa

5 Feb , 2019 Investigazioni Aziendali

Cosa si intende per infedeltà aziendale e normativa

Con l’espressione infedeltà aziendale si intendono tutte le azioni e i comportamenti messi in atto dai dipendenti e dai soci di un’azienda che infrangono il cosiddetto ‘obbligo di fedeltà’. Un comportamento infedele da parte di un dipendente può concretizzarsi in svariati modi: concorrenza sleale, diffusione di dati riservati o qualsiasi altro atto che possa infrangere l’obbligo di lealtà verso il datore di lavoro. Ovviamente molto dipende dall’azienda presso cui si lavora e il ruolo occupato che porta, con svariate motivazioni, a perpetrare  concorrenza in proprio o presso competitor, a trafugare  dati sensibili,  brevetti e prototipi. Di seguito, vediamo cosa dice la legge in merito e poi quali sentenze hanno implementato la giurisdizione relativa all’infedeltà aziendale.

Cosa dice la legge per l’infedeltà aziendale

Dal punto di vista legale, la normativa di riferimento è l’articolo 2105 del Codice Civile (‘Obbligo di fedeltà’): “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. In altre parole, la legge vieta al dipendente di assume comportamenti che possono essere considerati sleali e lesivi per l’azienda presso cui è impiegato. La prima parte dell’articolo vieta quindi di svolgere attività concorrenziali (non va confuso questo obbligo con quello di non concorrenza, che scatta solo al termine del rapporto di lavoro e deve essere concordato in forma scritta da entrambe le parti) mentre la seconda impone al dipendente di mantenere il riserbo rispetto ad informazioni sensibili, che spaziano dai flussi economici ai bilanci fino ai dati relativi ai fornitori ed alla clientela.

Nell’articolo successivo (il 2106, denominato ‘Sanzioni disciplinari’), vengono definite le sanzioni che possono essere comminate al dipendente che non rispetti l’obbligo di fedeltà verso l’azienda o manchi della “diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta” (articolo 2104). “L’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti” – si legge – “può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione e in conformità delle norme corporative”.

A proposito di tali sanzioni, l’articolo 7 della legge n. 300 del maggio 1970, rappresenta il principale riferimento normativo. Essa stabilisce che il datore di lavoro deve anzitutto informare il lavoratore del regolamento interno all’azienda (infrazioni e relative sanzioni, modalità di attuazione e contestazione di queste ultime) “mediante affissione in luogo accessibile a tutti”. Inoltre, il dipendente non può essere sanzionato senza essere stato informato dell’addebito e aver potuto rilasciare una dichiarazione a propria difesa. Il comma 4 escluderebbe il licenziamento (in quanto uno dei possibili “mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”) quale possibile sanzione  al netto di quanto stabilito dalla legge n. 604 del 15 luglio del 1966, in particolare da quanto si legge nell’articolo 3: “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

A completare il quadro dei riferimenti normativi contribuiscono altri due articoli del Codice Civile: il 1175 e il 1375. Il primo impone il corretto comportamento tra debitore e creditore; il secondo, invece, riguarda l’esecuzione ‘in buona fede’ del contratto.

Cosa dicono le sentenze

Il reato di infedeltà aziendale è al centro di diverse sentenze emesse dalla Corte di Cassazione. Un caso esemplare è rappresentato dalla n. 19096 del 2013. La sentenza riconosce come legittimo il licenziamento di un dipendente presso un laboratorio di analisi dal momento che questi aveva deciso di aderire ad una S.r.l. con lo scopo di aprire un nuovo studio medico. Secondo i giudici della Cassazione, ciò aveva costituito una violazione dell’articolo 2105 del Codice Civile poiché, si legge nella sentenza, la decisione dell’imputato era “sintomatica di un atteggiamento mentale del dipendente contrastante con quella leale collaborazione che costituisce l’essenza del rapporto di lavoro subordinato”.

Un’altra sentenza della Cassazione, risalente al 2013 (la n. 10959), pur non formulando un giudizio definitivo, fornisce una ulteriore chiave interpretativa. Il caso è il seguente: il dipendente di una società che – in qualità di ufficiale di riscossione – si occupava di notificazione di cartelle esattoriali era stato licenziato nel 2000; a detta dell’azienda, il provvedimento era motivato da giusta causa. Il verdetto della Corte di Cassazione, invece, “deduceva l’illegittimità del procedimento, assunto intempestivamente in esito ad un procedimento non ispirato a principi di correttezza e buona fede, sulla base di fatti privi di rilevanza disciplinare”, pur rinviando il tutto ad un ulteriore grado di giudizio.

Nel 2015 la Cassazione si è pronunciata in maniera favorevole al licenziamento del direttore di una filiale di un istituto di credito in quanto questi aveva concesso un prestito, pur in assenza delle garanzie necessarie, ed aveva consentito l’accesso al terminale della filiale ad un soggetto terzo estraneo all’istituto. Per queste ragioni, la sentenza chiama in causa “gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro”, sottolineando come – affinché il licenziamento sia giustificato – è sufficiente che l’azienda contesti la specifica violazione delle norme di comune prudenza e di quelle contenute nel Codice Civile senza bisogno di produrre un codice disciplinare interno. In questo caso, quindi, la Cassazione ha accertato la sussistenza del mancato obbligo di fedeltà aziendale da parte del dipendente.

Come indagare

Le investigazioni per infedeltà aziendale vengono, in genere, conferite  dal titolare (o altro legale rappresentante dell’azienda) e si sviluppano su più livelli. L’agenzia investigativa incaricata di svolgere le indagini a carico di un dipendente o di un socio necessita, avute notizie dal Mandante del fatto sospettato,  che verifichi gli aspetti giuridici per effettuare uno studio di fattibilità del caso e solo dopo, con gli operatori investigativi, valuterà le condizioni dei luoghi e gli elementi individuali dell’indagato per  impostare l’ordine di servizio definitivo.

L’infedeltà aziendale rientra nelle problematiche  più importanti  per le aziende; queste ignare hanno all’interno un focolaio che può portare, se fosse trascurato, alla destabilizzazione definitiva colpendo un aspetto fondamentale: la reputazione.

L’azione investigativa volta al contrasto dell’infedeltà aziendale termina con la redazione di una relazione finale; un documento contenente quanto evinto nel corso delle indagini  che potrà essere presentato come prova documentale in sede di giudizio. Un elemento fondamentale, che diventa elemento distintivo per l’agenzia e garanzia per il Mandante, è che gli operatori investigativi, dipendenti e dichiarati in Prefettura, saranno testi nella fase di giudizio per la convalida delle prove.

Per ulteriori informazioni sul tema oppure per avere informazioni riguardanti le indagini sull’infedeltà aziendale visitate la sezione apposita.

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