Quando c’è la possibilità di licenziamento per infortunio sul posto di lavoro

11 Lug , 2019 Indagini Aziendali

Quando c’è la possibilità di licenziamento per infortunio sul posto di lavoro

La sicurezza è da tempo uno dei temi più discussi in materia di lavoro. Purtroppo, i casi di infortunio o morte sul luogo di lavoro trovano posto nelle pagine di cronaca fin troppo spesso, soprattutto per quanto riguarda specifici contesti lavorativi. Ad ogni modo, esiste anche il rovescio della medaglia, ovvero i casi in cui il dipendente simula un infortunio (od una condizione di malattia).

Cosa si intende per infortunio sul posto di lavoro

L’infortunio sul posto di lavoro è un incidente fortuito che arreca un danno psico-fisico al lavoratore; dall’infortunio possono derivare la morte, un’inabilità permanente o temporanea; come sottolineato dal sito ufficiale dell’INAIL, il caso di infortunio si differenzia da quello della malattia professionale perché quest’ultima è legata a cause e fattori distribuiti in un lasso di tempo piuttosto lungo mentre l’infortunio è scatenato da un accadimento improvviso e violento.

L’indicente può essere provocato da una ‘causa violenta’ oppure da una ‘occasione di lavoro’; si tratta di due casi di specie piuttosto diversi. Il primo rappresenta un fattore esterno all’ambiente di lavoro: sostanze tossiche, sforzo muscolare, virus, microrganismi, condizioni climatiche e microclimatiche e qualsiasi altro fattore esterno che danneggia la salute psico-fisica del lavoratore.

La ‘occasione di lavoro’, invece, è un concetto più complesso perché non si limita ad annoverare le possibili casistiche di infortunio (solo) sul luogo di lavoro ma include ogni contesto in cui si svolge l’attività lavorativa e in cui il lavoratore è esposto ad un qualche rischio di sorta. In sostanza, sottolinea l’INAIL tramite il proprio sito ufficiale, “non è sufficiente che l’evento avvenga durante il lavoro ma che si verifichi per il lavoro, così come appurato dal cosiddetto esame eziologico, ossia l’esame delle cause dell’infortunio. Deve esistere, in sostanza, un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio”.

Un ulteriore caso di specie è rappresentato dal cosiddetto ‘infortunio in itinere’, ossia un incidente che si verifica durante il tragitto tra l’abitazione del lavoratore ed il luogo di residenza (oppure tra due diverse sedi lavorative in cui il dipendente è impiegato). Affinché il lavoratore ottenga una tutela per questo genere di infortunio, è necessario verificare il sussistere di determinate condizioni e circostanze, come ad esempio una deviazione dal naturale tragitto previsto per raggiungere il luogo di destinazione.

Per quanto concerne gli infortuni verificatisi sul luogo di lavoro, non vanno considerati come tali gli incidenti provocati solo ed esclusivamente dal comportamento del dipendente, i casi in cui la condotta di quest’ultimo aggrava in maniera dolosa le conseguenze di un accadimento oppure quelli simulati. Come spiega Salvatore Piccinni, Manager Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, in quest’ultimo caso si può parlare di falso infortunio, un’eventualità che espone il lavoratore a provvedimenti di natura sanzionatoria e costringe il datore di lavoro a tutelare i propri interessi. Vediamo di seguito di cosa si tratta e quali sono i riferimenti giurisprudenziali in materia.

Quando c’è il licenziamento per giusta causa

Come detto, tra gli infortuni sul lavoro non vengono annoverati quelli simulati dal dipendente. In questo caso, infatti, non sussiste alcun elemento concreto che impedisca al lavoratore di recarsi sul luogo di lavoro. In altre parole, egli sta dichiarando il falso e per tanto si espone a sanzioni di varia entità da parte dell’azienda presso cui è impiegato.

Spiega Salvatore Piccinni che tra le varie sanzioni vi è l’interruzione del rapporto di lavoro, ossia il licenziamento per finto infortunio. Tale provvedimento, per essere legittimo, deve essere supportato dalla dimostrazione che il dipendente abbia effettivamente simulato un infortunio o prodotto una falsa dichiarazione tramite un certificato medico. In caso contrario, un giudice potrebbe annullare il provvedimento dichiarandolo illegittimo.

A tal proposito, è necessario citare la sentenza n. 21629 emessa dalla Sezione del Lavoro della Corte di Cassazione. I giudici hanno accolto il ricorso di una dipendente licenziata per falso infortunio; quest’ultima sosteneva che il proprio datore di lavoro avesse preso tale provvedimento solo per presunzione, senza alcuna prova concreta. È questa la posizione accolta anche dalla Cassazione, che ha constatato anzitutto la violazione dell’articolo 2697 del Codice Civile che definisce il cosiddetto ‘onere della prova’. “Chi vuol far valere un diritto in giudizio” – si legge al comma 1 del dispositivo –  “deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”; in aggiunta, il comma due stabilisce che “chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

In aggiunta, la decisione dei giudici si basa anche su di un altro presupposto. Il licenziamento – nella fattispecie – non può essere motivato solo da una causa negativa (la mancata sussistenza del fatto) ma anche da una causa positiva, ossia dalla fattiva dimostrazione di un fatto. In altre parole, l’interruzione del rapporto di lavoro è stata giudicata come illegittima perché l’esecutore di tale provvedimento non è riuscito a produrre prove concrete a sostegno dello stesso.

Come indagare per l’infortunio

Se il datore di lavora sospetta che un proprio dipendente abbia simulato un infortunio, ha il diritto di tutelare i propri interessi e quelli della propria azienda. In particolare, come già sottolineato, in caso di licenziamento deve adempiere all’onere di prova. Per fare questo, il titolare di un’azienda può – sia in prima persona sia tramite un legale rappresentate – dare mandato ad un’agenzia di investigazioni privata di eseguire delle indagini specifiche.

Spiega Salvatore Piccinni che la prima fase di investigazione consiste nell’acquisizione delle generalità del dipendente. Una volta completata la fase di identificazione, gli agenti possono mettere in atto tecniche di osservazione, sia dinamica sia statica (pedinamento ed appostamento). In questo modo, gli investigatori possono raccogliere materiale fotografico, audio e video tramite il quale ricostruire attività e spostamenti dell’indagato. I riscontri così ottenuti possono consentire di provare come la condotta del dipendente che ha dichiarato di essere infortunato non risulti coerente con la certificazione o l’attestazione medica presentata all’azienda.

Le indagini possono anche mettere in evidenza come il comportamento del dipendente non sia congruente con un reale stato di infortunio. In tal caso, la condotta del lavoratore potrebbe aggravare o ritardare il processo di guarigione. Una volta esaurita la fase investigativa, gli agenti redigono una relazione finale, in cui viene esposto il lavoro svolto e sottolineati i risultati ottenuti. Qualora a seguito delle indagini, il mandante delle stesse provveda a licenziare il dipendente indagato e quest’ultimo faccia ricorso, la relazione investigativa può essere presentata come prova nell’ambito del procedimento giudiziario. Parimenti, anche gli agenti investigativi che hanno preso parte alle indagini possono essere coinvolti nel processo rilasciando una deposizione. Le investigazioni a carico dei dipendenti, purché non riguardino le posizioni politiche, gli orientamenti religiosi o sindacali, e non abbiano funzione di mera vigilanza, sono ammesse dalla legge.

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