Licenziamento dirigenti, cosa dice la legge

4 Apr , 2019 Indagini Aziendali

Licenziamento dirigenti, cosa dice la legge

Le interruzioni dei rapporti di lavoro, sia nel settore pubblico sia in quello privato, sono all’ordine del giorno e possono riguardare tanto i dipendenti quanto i dirigenti. Vediamo di seguito cosa prevede la normativa vigente per quanto concerne il licenziamento dei dirigenti e quando può configurarsi la ‘giusta causa’ a motivare il recesso del contratto di lavoro.

Definizione di dirigente

Prima di entrare nel dettaglio per ciò che riguarda il licenziamento, bisogna anzitutto definire in dettaglio la figura del dirigente. A tal proposito val bene citare in primo luogo l’articolo 2095 del Codice Civile: “I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai”. In altre parole, un dirigente è un lavoratore dipendente meglio inquadrato dall’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008: “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”.

Una definizione chiara della figura del dirigente è molto importante per il relativo trattamento in ambito giuridico ma spesso non è semplice individuare le differenze esistenti rispetto ad altre figure professionali, come ad esempio il ‘preposto’ che, secondo quanto disposto dal Decreto Legislativo sopra citato è una “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Poiché non esiste alcuna legge che stabilisca specificamente caratteristiche e requisiti del ‘dirigente’, e poiché le norme corporative sono state abrogate, spesso è necessario fare affidamento ai contratti collettivi ed alla giurisprudenza relativa ai casi di specie.

In buona sostanza, un dirigente è un lavoratore dipendente o meglio, un ‘prestatore di lavoro subordinato’ che il Codice Civile definisce in questi termini: “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. In aggiunta, il dirigente gode di una particolare autonomia decisionale in virtù di specifiche competenze professionali e funzionali, tali da permettergli di occupare una posizione gerarchica preminente (benché subordinata comunque al datore di lavoro).

Inoltre, secondo una sentenza emessa nel 1972 dalla Corte Costituzionale, “a caratterizzare la categoria dei dirigenti concorrono la collaborazione immediata con l’imprenditore per il coordinamento aziendale nel suo complesso ed in un ramo importante di esso; il carattere fiduciario della prestazione; l’ampio potere di autonomia nell’attività direttiva”.

Quando può avvenire il licenziamento di un dirigente

A causa delle difficoltà di ‘identificazione’, per la figura del dirigente – che resta indefinita dal punto di vista giuridico – la pratica di licenziamento non ricalca in toto quella da seguire per le altre tipologie di dipendenti. In generale, le regole per il licenziamento dei dirigenti prevedono l’esistenza di una ‘giusta causa’, ovvero un valido motivo per interrompere il rapporto di lavoro. L’articolo 2119 del Codice Civile (‘Recesso per giusta causa’) prevede la possibilità, da parte di ambedue i contraenti, di recedere dal contratto in essere “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. Non è necessario dare preavviso del recesso qualora si tratti di un contratto a tempo determinato; in caso contrario, il dispositivo stabilisce l’obbligo di preavviso, oltre ad un’indennità a favore del recedente “equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso” (comma 2 dell’articolo 2118 del Codice Civile).

Il provvedimento di licenziamento nei confronti di un dirigente può essere altresì giustificato mediante il cosiddetto principio di ‘giustificatezza’. In questo caso, il recedente è chiamato a fornire adeguato preavviso. Inoltre, è possibile licenziare un dirigente per motivi di anzianità, sia per il raggiungimento dell’età pensionistica, sia per il compimento del 67esimo anno di età.

Per i dirigenti esiste anche un altro caso specifico: il licenziamento ad nutum, ovvero l’interruzione del rapporto di lavoro senza alcuna specifica motivazione. Si tratta di una pratica controversa che riguarda esclusivamente i dirigenti. Anche per questo, sia nel contratto collettivo nazionale di lavoro dei Dirigenti Industria sia in quello dei Dirigenti Commercio è stata introdotta la possibilità, a favore del dirigente licenziato, di ricorrere al Collegio Arbitrale per verificare la fondatezza delle cause dell’interruzione del rapporto di lavoro.

Quando si può parlare di “giusta causa”

Anche la nozione di ‘giusta causa’ non è di facile definizione. Il già citato articolo 2119 del Codice Civile rappresenta il riferimento normativo primario ma, al contempo, si presenta come estremamente generico. D’altro canto, malgrado lo statuto giuridico piuttosto aleatorio, il dirigente – in quanto lavoratore subordinato – è chiamato a rispettare i propri obblighi verso l’azienda presso cui lavora e che sono disciplinati dal Codice Civile. Si tratta, nello specifico, dell’obbligo di diligenza (art. 2104) e fedeltà (art. 2105), all’interno del quale ricade anche quello della riservatezza (“il prestatore di lavoro non deve […] divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa”).

Per tanto, in linea teorica, il licenziamento dei dirigenti di commercio o di industria può essere motivato da ‘giusta causa’ quando il rapporto fiduciario con il datore di lavoro viene infranto irrimediabilmente. Tale rapporto può essere rotto anche da atti di concorrenza sleale Il patto di concorrenza si determina quando il rapporto è stato già interrotto.

Come investigare

Sulla base di quanto evidenziato finora, è chiaro che la figura del dirigente, all’interno dei un’azienda, ricopra un ruolo di grande rilevanza. Per questo, è nel legittimo interesse del datore di lavoro accertarsi che chiunque ricopra un ruolo o una carica dirigenziali segua una condotta corretta, senza mettere in atto azioni lesive per l’economia dell’attività.

A tale scopo, il titolare dell’azienda (oppure un legale rappresentate) può dare mandato ad un’agenzia di investigazioni private per lo svolgimento di indagini di controllo. Queste ultime hanno lo scopo di raccogliere prove in grado di dimostrare i comportamenti sleali o fraudolenti da parte dei dirigenti: quanto raccolto nell’indagine viene utilizzato per la stesura di una relazione finale. Le investigazioni vanno adeguate al soggetto indicato alternando tecniche differenti che spaziano dalla supervisione statica (appostamento) e dinamica (pedinamento) Fondamentale sarà la scelta dell’agenzia investigativa che necessita abbia collaboratori dipendenti ma soprattutto dichiarati alla locale prefettura; questo per garantire che quanto repertato sia avvalorato, giurato, in sede giudiziale.


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