Un disabile può essere licenziato per comportamento scorretto?

La legge italiana tutela il diritto delle persone portatrici di disabilità ad inserirsi nel mondo del lavoro, in maniera congruente con le proprie possibilità ed il livello di istruzione raggiunto. Le modalità di assunzione sono regolate da specifici provvedimenti normativi che regolamentano anche i provvedimenti disciplinari attuabili dal datore di lavoro nel caso in cui il rapporto con il dipendente disabile sia irrimediabilmente compromesso. In questo articolo vedremo quando un lavoratore con disabilità può essere licenziato per via della propria condotta scorretta.
Quali obblighi hanno le aziende per i disabili
Per quanto concerne l’assunzione di lavoratori disabili, i principali riferimenti normativi sono due: la Legge 104 del 1992 e la Legge 68 del 1999.
La prima (“Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”) ha, tra le finalità primarie, quella di “promuovere la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società” delle persone portatrici disabili. Il dispositivo include per lo più misure di natura assistenziale e benefici estesi anche ai familiari ed ai conviventi mentre l’integrazione lavorativa è regolamentata dagli articoli 18 e 19. Quest’ultimo, in particolare, ribadisce il principio del collocamento obbligatorio, secondo il quale le assunzioni di questo tipo “devono intendersi applicabili anche a coloro che sono affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consente l’impiego in mansioni compatibili”. L’articolo cita la Legge 482 del 1968, che introduceva l’obbligo di assunzione per invalidi civili, di guerra e di servizio, assieme a portatori di disabilità quali sordomuti e non vedenti, oltre a determinare le modalità di inserimento (15% del personale, apprendisti esclusi, per le aziende con almeno 35 operai). La normativa si è evoluta grazie all’entrata in vigore della Legge n. 68 del 12 marzo 1999 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”), che ha introdotto alcune novità significative.
L’articolo 2 disciplina il “collocamento mirato” dei disabili, definito come “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”. L’articolo successivo (“Assunzioni obbligatorie. Quote di riserva”) diversifica il parametro quantitativo per l’inserimento in azienda di dipendenti disabili; “i datori di lavoro pubblici e privati” – si legge – “sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1 nella seguente misura: a) sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti”. La legge dispone, inoltre, che per i datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti, l’inserimento obbligatorio viene applicato solo in caso di nuove assunzioni. Per alcuni ambiti, come ad esempio le forze di polizia, sono previste specifiche eccezioni.
Cosa si intende per comportamento scorretto
Ogni lavoratore dipendente è chiamato a rispettare, da un lato, gli accordi che lo legano al datore di lavoro dal momento della sottoscrizione del contratto di impiego e dall’altro, gli obblighi previsti dal Codice civile:
- Diligenza (ex articolo 2104): “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”;
- Fedeltà (ex articolo 2105): “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizi”.
Detto ciò, è bene sottolineare come la disciplina del lavoro non offra alcuna definizione di comportamento scorretto; pertanto, è possibile considerare scorretta la condotta del dipendente che non adempie agli obblighi sopra citati, danneggiando l’organizzazione logistica e produttiva dell’azienda, l’immagine della stessa e la capacità. In concreto, una condotta scorretta può concretizzarsi in diverse forme: assenteismo, abusi (di permessi e benefici previsti dalla legge), furto, concorrenza sleale e secondo lavoro non autorizzato, solo per citare i casi più comuni.
Quando si parla di comportamento scorretto per un disabile
Quanto sottolineato in precedenza, spiega Giusy Missere – Key Account Manager di Inside – Intelligence & Security Investigations, può essere applicato anche ai lavoratori disabili. Fatte le dovute valutazioni relative all’incidenza della disabilità ed alle mansioni assegnate, la condotta del lavoratore dipendente deve essere valutata in base agli stessi parametri sopra citati. Qualsiasi azione che possa provocare un danno di qualche genere alle attività aziendali, nelle forme già menzionate, rientra nell’orizzonte del comportamento scorretto del dipendente disabile; nello specifico, il mancato rispetto degli obblighi di diligenza e fedeltà espone il lavoratore a provvedimenti sanzionatori, che possono spaziare dal semplice richiamo all’ammenda fino al licenziamento, nei casi più gravi e comprovati.
Come può un’azienda difendersi
Poiché la condotta scorretta di un dipendente disabile può danneggiare l’azienda, quest’ultima ha il diritto di tutelare i propri interessi, entro i limiti previsti dalle normative in vigore. In particolare, il datore di lavoro può disporre specifiche indagini a carico di uno o più dipendenti, qualora vi sia il sospetto che il loro comportamento non sia conforme alle norme di correttezza ed al regolamento interno all’azienda. Si tratta di un’azione legittima, purché implementata entro specifici limiti: come stabilito dallo Statuto dei Lavoratori, infatti, le indagini sui dipendenti sono ammesse a patto che riguardino esclusivamente ambiti di pertinenza lavorativa e professionale.
Dal punto di vista operativo, le indagini vengono affidate ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in indagini sui dipendenti. Il mandato viene conferito da un legale rappresentante del datore di lavoro (benché talvolta questi possa farsi carico in prima persona del conferimento). Dopo che le parti hanno trovato un’intesa sugli obiettivi dell’intervento, i professionisti incaricati possono avviare fattivamente le operazioni di indagine. Il primo step consiste nell’acquisire dati ed informazioni relative al soggetto da sottoporre a verifica; in particolare, gli investigatori necessitano degli estremi anagrafici, domicilio, residenza e della documentazione che attesta i turni di lavoro e le mansioni svolte. Una volta ricavato un profilo sul quale lavorare, si implementa una fase cosiddetta di osservazione, dinamica (pedinamento) e statica (appostamento), tramite la quale si raccolgono riscontri fotografici e video; in tal modo, è possibile documentare la condotta del dipendente nell’ambito di precise coordinate di tempo e luogo. I riscontri così raccolti possono confutare eventuali dichiarazioni mendaci da parte del lavoratore, come ad esempio una falsa attestazione medica o l’abuso di un permesso retribuito. I dati raccolti durante l’indagine vengono riportati in una relazione investigativa stilata dagli investigatori e consegnata al mandante delle indagini.