Licenziamento per giusta causa, cosa deve sapere un’azienda
Quello tra dipendente e datore di lavoro è un rapporto che va al di là degli estremi contrattuali che ne regolano gli aspetti più importanti; entrambe le parti, infatti, hanno oneri e onori di varia natura, che prescindono quelli strettamente professionali. Quando la condotta del dipendente risulta lesiva del rapporto fiduciario insito nel contratto di lavoro, il lavoratore si espone a sanzioni e provvedimenti disciplinari che, nei casi più gravi, possono comportare la rescissione immediata del contratto; in tal caso si può parlare di licenziamento per giusta causa: vediamo di seguito di cosa si tratta, qual è la normativa di riferimento e come le indagini sui dipendenti possono integrarsi nel processo decisionale di questo genere di provvedimento.
Cosa si intende per licenziamento per giusta causa
In linea generale, il licenziamento per giusta causa è quel provvedimento, adottato dal datore di lavoro, che comporta l’interruzione immediata del rapporto lavorativo prima del termine naturale dello stesso, in quanto il dipendente si è reso autore di comportamenti particolarmente gravi, tali da essere nocivi per gli interessi dell’azienda o della società presso la quale è impiegato. La giurisprudenza in materia di licenziamento per giusta causa è molto ampia ma la dottrina dominante riconosce, tra i motivi che legittimano un provvedimento disciplinare così severo, anche azioni e comportamenti che non riguardano strettamente la sfera professionale o l’ambito lavorativo ma che possono riflettersi direttamente su di essi, cagionando un danno economico o di immagine al datore di lavoro.
Dal punto di vista normativo, il principale riferimento in materia di licenziamento per giusta causa è l’articolo 2119 del Codice Civile; la norma (“Recesso per giusta causa”) dispone che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. Il codice stabilisce, inoltre, che, nel caso si tratti di un contratto a tempo indeterminato, al dipendente che recede per giusta causa compete un’indennità “equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”, secondo quanto stabilito dall’articolo 2118 del Codice Civile. Il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta dell’azienda non rappresentano una giusta causa per la risoluzione del contratto.
Il licenziamento per giusta causa non va confuso con quello per giustificato motivo oggettivo, in quanto quest’ultimo è un provvedimento di natura differente, basato su ragioni di natura economica oppure organizzativa; il giustificato motivo oggettivo può essere rappresentato, ad esempio, da una serie di problemi economici e finanziari avuti dall’azienda o dalla subentrata inidoneità fisica o psichica da parte del dipendente.
Quando ci sono gli estremi per licenziamento per giusta causa
Il licenziamento per giusta causa è un provvedimento disciplinare al quale si fa ricorso solo in determinate circostanze: come spiega Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, la rescissione del contratto di lavoro per giusta causa viene implementata in presenza di uno o più gravi inadempienze da parte del dipendente, non necessariamente circoscritte all’ambiente di lavoro. I casi in cui, più di frequente, si verificano le condizioni per un licenziamento per giusta causa sono i seguenti:
- Assenze ingiustificate: in senso più ampio, si tratta di assenteismo. Quando il dipendente non eroga la prestazione lavorativa pur in assenza di un reale impedimento; nella maggior parte dei casi, il lavoratore adduce una falsa motivazione per giustificare la propria assenza;
- Certificato medico falso: nell’ambito di una condotta di tipo assenteista, una certificazione medica fasulla è il principale espediente per motivare un’assenza non giustificabile; può capitare che, talvolta, il certificato sia utilizzato per svolgere, in maniera illecita, una seconda attività lavorativa;
- Concorrenza sleale: questa eventualità può verificarsi quando il dipendente sottoscrive un accordo scritto, il cosiddetto “patto di non concorrenza”, che limita per contratto l’attività del lavoratore a seguito del termine del rapporto con il datore di lavoro; il patto, la cui durata massima è di cinque anni, per essere valido deve presentare specifici limiti di luogo e oggetto. Più in generale, per concorrenza sleale si intende un’attività concorrenziale illecita, condotta a proprio vantaggio e a danno del datore di lavoro; in questo ambito rientra anche la diffamazione a scapito dell’azienda;
- Furto o sottrazione di beni aziendali; la giurisprudenza in materia ha stabilito che il furto (pur essendo un reato per il quale esiste la variabile della tenuità) è uno di quegli atti che può pregiudicare il rapporto fiduciario tra prestatore e datore di lavoro al punto da legittimare il licenziamento disciplinare;
- Insubordinazione verbale o fisica;
- Abbandono del luogo di lavoro: ciò è tanto più grave quando l’allontanamento pregiudica l’incolumità o la sicurezza di persone e non solo (basti pensare ad una guardia giurata che lascia la propria postazione durante il turno di lavoro);
- Reati o crimini che, commessi in ambito privato, possono compromettere l’immagine dell’azienda o rendere il dipendente inadeguato alle mansioni che gli sono assegnate (furto, appropriazione indebita, molestie).
Come possono essere utili le indagini sui dipendenti
Molto spesso, in presenza di un licenziamento per giusta causa, il dipendente vittima del provvedimento impugna la decisione e ricorre alle vie legali, al fine di dimostrare l’illegittimità dell’interruzione del rapporto si lavoro. In questi casi, il datore di lavoro deve ottemperare al cosiddetto “onere della prova” (secondo quanto stabilito dall’articolo 2697 del Codice Civile), ossia dimostrare il legittimo fondamento della propria decisione. A questo scopo, per tutelare i propri interessi e dimostrare che il provvedimento disciplinare è legittimo, egli può disporre delle indagini sui dipendenti dando mandato (direttamente o tramite un legale rappresentante) ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in business intelligence.
Gli agenti incaricati acquisiscono la documentazione relativa ai soggetti da sottoporre ad indagine, così da poter delineare un profilo personale e professionale; la fase successiva consiste in una procedura di supervisione, che può essere sia attiva (pedinamento) che passiva (appostamento). Tali tecniche consentono agli investigatori di raccogliere materiale fotografico e video, così da poter accertare in maniera inconfutabile la condotta del dipendente in un determinato contesto di tempo e luogo. La procedura di supervisione risulta particolarmente utile contro l’assenteismo o le false certificazioni mediche in quanto è in grado di comprovare in maniera inconfutabile una condotta non congruente con quanto attestato dal certificato medico prodotto dal dipendente. Al termine delle indagini, gli investigatori redigono una relazione tecnica: si tratta di un documento all’interno del quale vengono descritti il lavoro svolto ed i risultati con esso ottenuti. La relazione può essere impiegata dal mandante delle indagini con valore probatorio (per ottemperare all’onere della prova) nell’ambito di un eventuale processo giudiziario conseguente al licenziamento disciplinare.