L’infedeltà aziendale può essere reato? E come difendersi?

13 Ago , 2020 Indagini Aziendali

L’infedeltà aziendale può essere reato? E come difendersi?

Il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è regolato da una serie di apposite leggi, che individuano gli oneri e i benefici che spettano ad ambo le parti; in linea generale, però, tale rapporto si basa su un elemento fiduciario (al netto degli estremi economici, professionali e disciplinari individuato dal contratto di impiego, dai Contratti Collettivi ed altre forme di regolamentazione della prestazione lavorativa), spesso considerato indispensabile per l’esistenza e la prosecuzione del rapporto di lavoro; quest’ultimo può essere minacciato, nella sua natura ‘fiduciaria’, da una condotta che può essere catalogata come ‘infedele’: vediamo di seguito quando si può parlare di infedeltà aziendale di un dipendente e quando questa costituisce un reato.

Cosa si intende per infedeltà aziendale

Il lavoratore ha una serie di obblighi nei confronti del proprio datore di lavoro; essi sono stabiliti dalle normative vigenti ed il loro mancato rispetto espone il dipendente a ripercussioni disciplinari di vario tipo. L’articolo 2105 del Codice civile definisce l’obbligo di fedeltà: “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

In altri termini, il dispositivo persegue due obiettivi; il primo è quello di vietare la concorrenza sleale che, secondo quanto stabilito dall’articolo 2598 del Codice civile, consiste nel ricorso a qualsiasi “mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Il secondo è quello di tutelare l’azienda per quanto riguarda il segreto industriale e professionale; l’articolo 621 del Codice penale, infatti, prevede una pena fino a tre anni di reclusione per “chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero l’impiega a proprio o altrui profitto”. Pene meno severe – che prevedono comunque almeno un anno di reclusione – sono previste anche per chi divulga in maniera fraudolenta segreti professionali o scientifici.

L’obbligo di fedeltà fa il paio con l’obbligo di diligenza nello svolgimento della prestazione lavorativa; come stabilito dall’articolo 2104 del Codice civile, “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

Quindi, come spiega Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, per “infedeltà aziendale” si intende qualsiasi condotta da parte del dipendente che, contrario al carattere fiduciario del rapporto di lavoro, comporta un danno all’azienda non riconducibile a semplice negligenza ma, di contro, possa essere inquadrato come un atto di concorrenza sleale o come divulgazione non legittima di segreti industriali, scientifici e professionali.

Come si indaga in questi casi

Nel caso in cui il titolare o il supervisore di un’azienda abbia il sospetto che uno o più dipendenti non siano ‘fedeli’, è possibile effettuare delle apposite indagini sui dipendenti, affidando l’incarico ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in business intelligence. Il mandato viene generalmente affidato all’agenzia da un legale rappresentante ma, in alcuni casi, può essere il titolare dell’azienda a occuparsene in prima persona. Va sottolineato come disporre indagini a carico dei dipendenti sia una pratica lecita, ammessa dallo Statuto dei Lavoratori, ma solo entro determinati limiti: è vietato, ad esempio, indagare sull’orientamento politico, religioso o sindacale del lavoratore; in aggiunta, non è possibile ricorrere ad intercettazioni o a sistemi di video sorveglianza, a meno che questi non siano installati ed adoperati in maniera conforme a quanto previsto dalle norme in vigore. Una volta accettato il mandato, l’agenzia, assieme al mandante, fissa gli obiettivi dell’intervento e gli estremi di svolgimento delle indagini.

Il primo step della procedura investigativa consiste nell’acquisizione delle informazioni personali e professionali dell’individuo da sottoporre a controllo; in tal modo, gli agenti possono delineare un profilo del proprio target; la documentazione necessaria a tale scopo include il curriculum, il contratto di lavoro, eventuali lettere di referenze o presentazione. La fase successiva si articola in una doppia procedura di supervisione, che può essere sia attiva (pedinamento) che passiva (appostamento), durante la quale gli agenti possono raccogliere materiale fotografico e video per attestare la presenza del soggetto indagato in un determinato luogo in un dato lasso di tempo. Ulteriori verifiche possono essere effettuate sulle reti digitali utilizzate dall’azienda, nel caso in cui informazioni riservate siano state sottratte da una postazione interna e acquisite per essere consegnate ad un soggetto terzo. Le procedure di analisi forense possono essere condotte sulle reti interne, sulle strutture digitali utilizzate dall’azienda e sui dispositivi in uso ai dipendenti; attraverso apposite verifiche è possibile individuare non solo i punti deboli dei sistemi di sicurezza informatica ma, in aggiunta, si possono scovare segni di accesso forzoso o di manipolazione di dati e informazioni. Al termine delle procedure d’indagine, gli agenti incaricati stilano un fascicolo investigativo, all’interno del quale viene illustrato il lavoro svolto e sono evidenziati i risultati ottenuti; il documento viene consegnato al mandante delle indagini. Nel caso in cui questi decida, anche sulla base dei riscontri evidenziati dagli investigatori, di interrompere il rapporto di lavoro con il dipendente indagato, potrà utilizzare la relazione come prova nell’ambito di un eventuale processo giudiziario.

L’infedeltà aziendale può essere reato

L’infedeltà aziendale è una condotta che può pregiudicare il rapporto di lavoro, al punto da determinarne l’interruzione, in anticipo sui termini fissati per contratto. Ciò non vuol dire che essa costituisca un reato; in realtà, molto dipende dalle modalità con cui tale condotta si concretizza; chi trasgredisce le disposizioni inerenti agli obblighi di fedeltà e riservatezza (Codice civile), commette un illecito, per il quale sono previste apposite sanzioni disciplinari “secondo la gravità dell’infrazione”, a patto che quest’ultima venga contestata al dipendente e che a questi sia data la possibilità di difendersi.

È giusto parlare di reato quando la violazione riguarda le disposizioni del Codice penale; in altre parole, se il dipendente è infedele perché rivela a terzi o divulga impropriamente informazioni che rientrano nella definizione di segreto professionale o industriale, si configura un reato, punibile (a norma di legge) con una sanzione pecuniaria e un periodo di reclusione, diverso a seconda del reato commesso. Nel primo caso, quindi, la sanzione può essere anche ‘interna’, ossia modulata su quanto stabilito dal regolamento interno mentre nel secondo è l’autorità giudiziaria a pronunciarsi in merito; naturalmente, se la condotta del dipendente è stata tale da arrecare danni significativi all’azienda, egli dovrà rispondere anche ad un’eventuale richiesta di risarcimento.


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