Quando è possibile licenziare un dipendente per assenteismo
La condotta del dipendente può influire, in maniera significativa, sul rapporto esistente con il datore di lavoro; in alcuni casi, il comportamento del lavoratore può essere all’origine di frizioni, contrasti e, non di rado, contenziosi di natura giuridica. Eventualità di questo tipo si concretizzano non solo quando il dipendente o il datore di lavoro non rispettano i reciproci doveri stabiliti dal contratto di lavoro e dalle altre forme di regolamentazione della prestazione lavorativa. Uno dei comportamenti che rischia più di frequente di compromettere il rapporto lavorativo è l’assenteismo che, nei casi più gravi, può comportare il licenziamento del dipendente: di seguito, vediamo in quali casi può concretizzarsi un’eventualità di questo tipo.
Cosa si intende rispettivamente per assenteismo e licenziamento
Quando si parla di assenteismo, si fa riferimento ad una particolare condotta assunta dal lavoratore. Essa consiste nell’assentarsi dal luogo di lavoro senza un valido motivo o un reale impedimento, adducendo una falsa motivazione di vario genere. In altri termini, la vera causa alla base della mancata prestazione lavorativa (che può essere di natura personale o psicologica) viene dissimulata per mezzo di un espediente, come ad esempio uno stato di malattia o un infortunio, simulati o presunti. Va sottolineato come, d’altro canto, assentarsi dal luogo di lavoro, di per sé, non sia certo vietato dalla legge che stabilisce un limite massimo di assenze (in ore o giorni lavorativi), definito “comporto”. Questi può essere “secco” o “per sommatoria” se il periodo di mancata prestazione lavorativa è, rispettivamente, continuativo o discontinuo. In presenza di prove evidenti che dimostrano inconfutabilmente una condotta assenteista da parte del dipendente, il datore di lavoro può decidere di procedere alla rescissione del contratto tra le parti, ovvero di implementarne il licenziamento. Quest’ultimo rappresenta il provvedimento sanzionatorio più severo che una società o un’azienda può intraprendere nei confronti di un dipendente, in quanto sancisce l’interruzione del rapporto lavorativo (con effetto immediato o con un dato preavviso) in essere tra le parti.
Quali sono i motivi del licenziamento
Il licenziamento per assenteismo del lavoratore è un provvedimento piuttosto comune, ma non rappresenta una misura sanzionatoria automatica. In sostanza, l’assenteismo non è definito in quanto tale dalle norme vigenti in materia di lavoro ma viene considerato come un tipo di condotta lesiva del rapporto fiduciario esistente tra il datore di lavoro e il dipendente. Questi, in base a quanto stabilito dal Codice civile, ha precisi obblighi; in particolare diligenza e fedeltà. Per quanto concerne il primo, il dispositivo (articolo 2104) stabilisce che “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”. L’articolo 2105 c.c., invece, disciplina l’obbligo di fedeltà nei seguenti termini: “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Ne deriva che, l’assenteismo, di per sé, non sempre rappresenta una condizione sufficiente per procedere al licenziamento del dipendente; ciò dipende da diversi fattori. Il primo è rappresentato dalla gravità del fatto in sé: poche ore di assenza, anche se non giustificabili, difficilmente possono costituire un valido motivo di licenziamento. In casi del genere è molto più probabile che il datore di lavoro attui un provvedimento più lieve, come ad esempio un richiamo o una multa. Il secondo aspetto da tenere in conto è il carattere delle assenze; talvolta, infatti, il dipendente tende ad assentarsi secondo uno schema preciso: in tal caso è possibile parlare di “assenteismo tattico”, in quanto la mancata prestazione lavorativa coincide con ore o giorni scelti con criterio dal prestatore di lavoro (è il caso, ad esempio, delle assenze precedenti o seguenti il fine settimana o i coincidenza dei turni più duri o disagevoli). Anche il licenziamento per assenteismo tattico rappresenta la misura più estrema da intraprendere nei confronti del lavoratore; ad incidere maggiormente, in tal caso, sono la continuità e la reiterazione di una condotta di questo tipo. Al netto delle variabili che differenziano ogni caso dall’altro, i motivi di licenziamento per assenteismo – come osserva Giusy Missere – Key Account Manager di Inside Intelligence & Security Investigations – possono essere:
- Infondatezza dell’assenza; la mancata prestazione di lavoro non è motivata da una valida ragione; quasi sempre, assenze di questo tipo fanno leva su espedienti quali false dichiarazioni mediche o abuso di permessi retribuiti;
- Carattere strategico dell’assenza (assenteismo tattico);
- Condotta illegittima durante l’assenza; un esempio, in tal senso, è rappresentato dall’eventualità in cui il lavoratore sfrutta l’assenza per svolgere un secondo impiego non autorizzato.
Come va licenziato il dipendente assenteista
Nel caso in cui un datore di lavoro sospetti che un proprio dipendente sia assenteista, non può procedere immediatamente con il licenziamento (anche qualora lo ritenga opportuno). Il Codice civile stabilisce che l’inosservanza degli obblighi di diligenza e fedeltà “può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione”. Tali sanzioni devono essere proporzionate all’infrazione commessa e, in secondo luogo, l’addebito deve essere comunicato al dipendente in modo tale che questi possa esporre le proprie ragioni per difendersi. Ad ogni modo, è bene che il soggetto che attua il provvedimento di licenziamento agisca dopo aver accertato che la condotta del lavoratore possa essere effettivamente considerata come assenteista (dimostrando l’imputabilità del fatto). A tale scopo, è possibile disporre delle apposite indagini, rivolgendosi ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in indagini sui dipendenti; ciò consentirà al datore di lavoro, nel caso in cui dal provvedimento dovesse scaturire un procedimento giudiziario, di adempiere al cosiddetto “onere della prova”. Gli agenti incaricati, infatti, al termine delle procedure investigative, consegnano al mandante una relazione investigativa, ovvero un documento all’interno del quale vengono illustrati il lavoro svolto ed i riscontri con esso ottenuti. In particolare, gli investigatori possono allegare materiale fotografico e video, acquisito durante le fasi di osservazione statica e dinamica (appostamento e pedinamento) e in grado di documentare in maniera inconfutabile la condotta del dipendente all’interno di uno specifico contesto di tempo e luogo. Questa pratica è particolarmente utile per scoprire se il dipendente è realmente malato o infortunato, oppure se il suo comportamento non è conforme con le sue condizioni di salute ed è tale da compromettere o pregiudicare il processo di guarigione. Dopo aver valutato i riscontri ottenuti per mezzo delle indagini, il datore di lavoro può decidere quale sanzione comminare nei confronti del proprio dipendente; qualora decida per l’interruzione del rapporto lavorativo, può procedere al licenziamento per giusta causa. Se il dipendente impugnerà la decisione e presenterà ricorso all’autorità giudiziaria competente, il datore di lavoro potrà non solo far leva sulla relazione investigativa ma anche sulla testimonianza degli agenti. Spetterà poi al giudice valutare tutti gli elementi del caso ed esprimersi in merito.