Tutto quello che serve sapere sul controllo a distanza dei lavoratori
Grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e sistemi di comunicazione, il rapporto tra datore di lavoro e dipendente si è sensibilmente evoluto; gli strumenti digitali, infatti, hanno aperto nuove possibilità nella gestione e nella supervisione del luogo di lavoro, consentendo finanche il controllo a distanza dei lavoratori. Naturalmente, ciò è possibile soltanto nel rispetto delle disposizioni normative contenute nelle fonti di diritto e della privacy personale del lavoratore. Di seguito, vedremo in cosa consiste il controllo a distanza, quali sono i riferimenti normativi primari ed entro quali limiti può muoversi il datore di lavoro.
Cosa si intende per controllo a distanza
“Controllo a distanza” è un’espressione piuttosto generica che indica una serie di azioni (anche molto diverse fra loro) attuabili in ambito lavorativo da parte di un datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. In linea di principio, si tratta dell’insieme delle attività di sorveglianza indiretta (ossia senza la presenza fisica del supervisore sul luogo di lavoro) implementate con lo scopo di monitorare l’operato dei lavoratori, per lo più a scopo di sicurezza. Un esempio pratico di tali attività è rappresentato dall’impiego di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso oppure dall’installazione di dispositivi di localizzazione su veicoli e attrezzature aziendali. In sintesi, per controllo a distanza dei lavoratori si intende ogni pratica che, utilizzando dispositivi tecnologici appositi, è finalizzata alla supervisione indiretta del personale durante lo svolgimento delle proprie mansioni, sia all’interno del luogo di lavoro che all’esterno, purché nell’ambito dell’erogazione della prestazione lavorativa.
Cosa dice la Costituzione
È evidente come, in base a quanto sottolineato fin qui, il controllo a distanza del lavoratore – a prescindere dalle modalità con le quali viene implementato – ponga un problema inerente alla violazione del diritto alla privacy del dipendente e, di conseguenza, alla legittimità dell’impiego di dispositivi di sorta per il controllo a distanza. Come sottolinea puntualmente Giusy Missere – Key Account Manager di Inside Intelligence & Security Investigations, per dirimere la questione è necessario risalire alle fonti del diritto, ossia ai riferimenti normativi in materia che, nello specifico, sono rappresentati dalla Costituzione e dallo Statuto dei Lavoratori. Per quanto concerne la prima, è necessario fare riferimento all’articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. In sostanza, la Costituzione riconosce la possibilità di coesistenza tra lavoro pubblico e privato e contempla la possibilità che vi siano “programmi e controlli” a supporto delle attività economiche che, in tal caso, vanno intese come politiche di settore (incentivi, sgravi fiscali e simili).
Il primo tentativo di regolamentazione del controllo a distanza dei dipendenti può essere individuato nell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori; il dispositivo stabilisce che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali”. “In mancanza di accordo” – si legge ancora nel primo comma – “gli impianti e gli strumenti […] possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro”.
Nello Statuto si specifica, inoltre, che tali misure non si applicano “agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Il testo è stato poi aggiornato in merito all’utilizzo dei dati ottenuto per mezzo dei sistemi di controllo a distanza; le informazioni, si legge al comma 3 del medesimo articolo, “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
Per completare il quadro dei riferimenti normativi, val bene citare l’articolo 2087 del Codice civile, il quale dispone che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Come deve comportarsi il datore di lavoro
Alla luce di quanto sottolineato fin qui, emerge come le leggi in vigore non proibiscano l’utilizzo di sistemi di monitoraggio, videosorveglianza e simili. Di contro, l’impiego di ogni genere di dispositivo in grado di implementare un controllo a distanza sui dipendenti è legittimo solo se rispetta i parametri imposti dalla legge a tutela della privacy dei dipendenti. Circa quest’ultima, bisogna anche fare riferimento alle più moderne e sofisticate tecnologie di tracciamento, come ad esempio i software GPS che possono essere integrati sui dispositivi aziendali in dotazione ai dipendenti oppure collocati all’interno dei mezzi che compongono la flotta dei veicoli aziendali. A tale riguardo, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro si è pronunciato di recente mediante la circolare n. 2 del 2016; nel documento, viene osservato che “i sistemi di geolocalizzazione rappresentino un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro, non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma, per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro”; poiché l’Ispettorato non ha riconosciuto il carattere funzionale di tali dispositivi, ha sottolineato che questi possono essere installati “solo previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale ovvero, in assenza di tale accordo, previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro”.
In conclusione, è lecito chiedersi quali siano le possibilità riservate al datore di lavoro. La risposta è molto semplice: i sistemi di controllo a distanza sono ammessi dalla legge, purché il loro impiego venga concordato con le rappresentanze sindacali o con l’Ispettorato del Lavoro e a patto che la loro finalità primaria sia quella di incrementare la sicurezza e l’efficienza delle attività aziendali. In altre parole, i sistemi di controllo a distanza non possono essere impiegati per sorvegliare i lavoratori a loro insaputa o per valutarne l’operato. A tale scopo è possibile rivolgersi ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in indagini sui dipendenti; lo Statuto dei Lavoratori, infatti, vieta soltanto le indagini che indugiano nella sfera privata (appartenenza sindacale, orientamento politico e religioso) mentre consente verifiche sui lavoratori, anche da parte di soggetti terzi, tanto ai fini dell’assunzione quanto per controlli di altro tipo.