Verifica dichiarazioni amministratori all’estero come si effettua

28 Mag , 2020 Business Intelligence

Verifica dichiarazioni amministratori all’estero come si effettua

Nell’ambito di determinate operazioni economiche e finanziarie – soprattutto fusioni, acquisizioni e compartecipazioni azionarie – i soggetti coinvolti sono tenuti a svolgere dei controlli preventivi, a tutela dei propri interessi, prima di formulare la loro offerta o di raggiungere un accordo. In gergo tecnico, questo genere di indagini preliminari prende il nome di due diligence: vediamo di seguito di cosa si tratta e come si effettuano, nello specifico, le verifiche inerenti alle dichiarazioni degli amministratori di un’azienda con sede all’estero.

Due Diligence estero come si effettua

Il termine due diligence (ossia “diligenza dovuta” o “diligenza necessaria”) identifica una serie di verifiche preliminari, svolte per lo più nell’ambito di operazioni di fusione o acquisizione. Nella maggior parte dei casi, le indagini vengono disposte da uno degli attori coinvolti (o entrambi) su base volontaria ma in alcune circostanze la due diligence può rappresentare un obbligo legale che, se non ottemperato, espone la parte obbligata a ripercussioni di natura contrattuale.

Le indagini possono essere svolte in diversi momenti della fase di contrattazione; la due diligence precontrattuale, ad esempio, viene disposta prima che le parti raggiungano un accordo e fissino i termini degli accordi per contratto: si tratta del tipo di verifiche che vengono disposte per lo più dall’acquirente, in quanto consente a quest’ultimo di avere informazioni più dettagliate circa il target dell’acquisizione. Qualora sia post-stipula o pre-closing, la due diligence viene svolta quando tra le parti c’è già un vincolo contrattuale, benché non si tratti ancora di un accordo definitivo. La due diligence post-closing, infine, è il tipo di verifica che viene effettuata quando l’operazione è stata già effettuata e l’acquirente intende approfondire la conoscenza dei beni acquisiti.

Nel caso in cui uno dei soggetti coinvolti nel processo di fusione o acquisizione sia un’azienda con sede all’estero, la due diligence assolve un ruolo di importanza anche maggiore. Un’ulteriore verifica di tutte le informazioni inerenti al target dell’acquisizione può portare alla luce omissioni o incongruenze e, di conseguenza, orientare lo sviluppo della fase di contrattazione in un senso o nell’altro.

La due diligence su un soggetto con sede all’estero deve essere affidata a tecnici e professionisti specializzati; per questo, il soggetto che vuole (o deve) disporre questo tipo di indagine può rivolgersi ad un’agenzia di investigazione privata; il mandato viene generalmente affidato da un legale rappresentante benché, seppur di rado, anche il titolare dell’azienda può, in prima persona, affidare l’incarico ad un’agenzia. Affidarsi a figure specializzate è particolarmente importante, specie quando la due diligence è su soggetti esteri, perché è necessario confrontarsi con un diverso quadro normativo di riferimento e con maggiori difficoltà per reperire tutte le informazioni necessarie.

Il primo step consiste generalmente nel fissare gli obiettivi della procedura di investigazione; il mandante e gli agenti incaricati individuano i profili d’indagine: i controlli possono infatti essere incentrati su uno o più aspetti del target dell’acquisizione (situazione economico-finanziaria, status legale, prospetto operativo), a seconda delle specifiche esigenze della committenza. Al termine delle verifiche, gli agenti incaricati stilano una relazione tecnica in cui, a seconda degli obiettivi prefissati, illustrano il lavoro svolto ed i risultati con esso ottenuti.

L’importanza di verificare le dichiarazioni degli amministratori

La due diligence si fonda anzitutto sulla verifica delle varie dichiarazioni prodotte dagli amministratori della società o dell’azienda target. Per questo, accertarne la veridicità è un’operazione di vitale importanza, sia per tutelare gli interessi del potenziale acquirente, sia per assicurare un regolare svolgimento dell’intera procedura di acquisizione. Come spiega Salvatore Piccinni – Managing Director Head of Southern Europe di Inside Intelligence & Security Investigations, in alcuni casi le dichiarazioni degli amministratori rappresentano la principale fonte di informazioni circa il potenziale obiettivo di una fusione o di un’acquisizione; ne consegue che il soggetto maggiormente esposto (l’eventuale acquirente), nell’ottica di tutelare il più possibile i propri interessi, sia chiamato ad approfondire tali informazioni per mezzo di ulteriori modifiche. In tal caso, la due diligence rappresenta lo strumento migliore per individuare le potenziali criticità connesse alla formalizzazione di un accordo tra le parti. Un altro aspetto da non sottovalutare è quello di natura legale; poiché, come detto, una società o un’azienda estere sono soggette al quadro normativo del paese in cui hanno sede, prima di procedere alla definizione degli accordi, è necessario che l’acquirente sia a conoscenza delle implicazioni e dei vincoli legali ai quali andrebbe incontro una volta formalizzata l’acquisizione. Questo tipo di problematica risulta ancor più evidente quando l’operazione straordinaria da porre in essere coinvolge un’entità con sede al di fuori dell’Unione Europea perché in tal caso vengono meno anche i riferimenti ad alcune normative comunitarie.

A rendere importante le verifiche di due diligence a carico delle dichiarazioni degli amministratori c’è, ovviamente, anche il fattore economico; i controlli consentono di stimare non solo i costi dell’operazione, ma anche il suo rendimento futuro e, se si prospettano rischi ben quantificabili, approntare una strategia di risk management per attutire o neutralizzare le possibili criticità.

Come si effettua la verifica

Le operazioni di verifica delle dichiarazioni degli amministratori vengono implementate secondo un iter ben preciso. In primo luogo, il mandante della due diligence e i tecnici incaricati individuano l’ambito d’indagine e gli obiettivi che quest’ultima si pone. In secondo luogo, l’agenzia incaricata si mette in contatto con l’azienda target dell’acquisizione e propone un accordo confidenziale per essere autorizzata all’acquisizione del materiale informativo e dei documenti necessari a svolgere le verifiche previste. In genere, questo tipo di accordo implica clausole di riservatezza e precisa modalità di trattamento dei dati sensibili (l’azienda che li fornisce richiede determinate garanzie circa la privacy).

Conclusa positivamente questa procedura, gli agenti acquisiscono le dichiarazioni degli amministratori, assieme ad altri documenti di rilievo (organigramma aziendale, prospetti di bilancio, rendiconto operativo) e possono confrontare le informazioni ottenute con quelle già in possesso del potenziale acquirente. Da questa analisi preliminare possono emergere incongruenze e omissioni rispetto a quanto riportato da altre fonti; a seconda dell’ambito di indagine prefissato, l’attenzione degli investigatori si concentra su aspetti specifici: per le verifiche sui soggetti fisici legati a vario titolo all’azienda, gli addetti alla due diligence possono procedere al cosiddetto “compliance check” (indagini di conformità) che prevede la consultazione di speciali liste tenute da organi nazionali ed internazionali; in particolare si tratta delle liste anticorruzione e delle liste PEP (Persone Esposte Politicamente), che rappresentano un ulteriore riscontro rispetto alle informazioni fornite dagli amministratori. In aggiunta, gli investigatori possono avvalersi delle liste anticorruzione, per verificare che non solo i membri dell’azienda ma anche altre persone ad essa collegabili in vario modo figurino in questi elenchi speciali. Tutti i riscontri ottenuti in tal modo vengono riportati, come detto, in una relazione tecnica che può contribuire ad accelerare o modificare l’approccio strategico del committente della due diligence.


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